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Trama

Un week-end di fine luglio in una Vienna periferica, afosa e deserta, dove si incrociano tante esistenze alla deriva: una signora elegante si fa umiliare dal suo rozzo amante; un anziano ingegnere corteggia la donna delle pulizie, quasi sua coetanea; un giovanotto attaccabrighe maltratta la sua ragazza; una coppia non comunica più dalla morte della figlioletta in un incidente; un’autostoppista senza meta ritardata e logorroica non fa altro che vomitare classifiche e statistiche; un addetto alla sicurezza delle villette ha paura di perdere il lavoro.

Recensione

Il titolo originale, tradotto alla lettera, significa “giorni del Cane”, nel senso della costellazione.

Eppure è un nome che calza a pennello al primo film di finzione dell’impietoso documentarista Ulrich Seidl (Gran Premio della Giuria a Venezia, dove hanno suscitato scalpore alcune scene scabrose, fra cui un’orgia), non tanto per il caldo insopportabile (l’effetto serra?) che soffoca persino l’Austria (c’è del marcio anche lì, ci ha già anticipato Haneke), ma per i suoi cascami indiretti sulla gente, un campione di vergognosa umanità votata al massimo al culto dell’automobile.

Nessuno è bello, almeno interiormente, tutti applicano le proprie degenerazioni, non necessariamente sessuali (è importante sottolinearlo); in molti danno uno strappo alla chiacchierona rompiscatole (sembra quasi un’incarnazione della pubblicità) ma poi non la sopportano; il panorama apparentemente immobile (nel quale corpi disarmonici si abbronzano come esanimi) avvolge questi segmenti di vita in un’atmosfera che, con meno ironia, sembra precedere di un attimo i paesaggi post-apocalittici di Ciprì & Maresco.

Pugni nello stomaco a profusione per un film, tratto da 80 ore di girato, che deprime, turba, lascia il segno, non è facile da reggere (non per chiunque) e che non arretra di fronte allo sgradevole, pur sapendo quando, o su cosa, fermarsi.

Max Marmotta