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Recensione

Sette anni dopo lo splendido La sottile linea rossa, che a sua volta arrivava ad un ventennio da I giorni del cielo, Terrence Malick, il meno prolifico fra i massimi autori americani, torna dietro la macchina da presa per la sua quarta fatica (a questo punto, citiamo anche il suo rimarchevole esordio, La rabbia giovane, del 1973).

Gli echi dei suoi due lavori precedenti si fanno sentire, soprattutto nell’enunciazione del flusso lirico dei pensieri dei protagonisti (che altri non sono che il colono inglese John Smith e la principessa indigena della Virginia seicentesca Pocahontas, già inquadrati dall’omonimo cartoon Disney del 1995, nonché il vedovo britannico John Rolfe, il quale fa il suo ingresso in scena verso la fine) e lo sbocciare di un amore impossibile.

Con pochi, decisi tratti Malick descrive le differenze attitudinali fra i vari soldati, il loro modo di porsi nei confronti delle tribù primitive e delle difficoltà di sostentamento, senza mai trascurare la meraviglia della natura circostante.

In fondo, il (perlopiù) casto sentimento nato fra l’esploratore (Colin Farrell, in bilico tra correttezza e senso del dovere militare) e la ragazza (la quasi esordiente Q’Orianka Kilcher, appena quindicenne) rappresenta il connubio inattuabile (per vari motivi abbozzati con puntualità) fra due civiltà, entrambe motivate ad esistere e a preservarsi.

Grande importanza riveste pure qui la fotografia (affidata ad Emmanuel Lubezki), e la cadenza contemplativa del racconto, che respinge energicamente coloro che sbadigliano all’assenza di azioni concitate, rende maggiormente preziosa la storia, qui più fedele ai fatti realmente accaduti.

Fra i volti noti che partecipano al film brevemente (in questo caso addirittura fulmineamente), Jonathan Pryce è re James, trasformato in Giacomo dall’edizione italiana.

Max Marmotta