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Trama

Il cinquantenne Zhao, operaio squattrinato, decide di accasarsi con una grassa signora, la quale ha a carico un figlio altrettanto obeso e una figliastra non vedente, Wu Ying.

L’uomo non può permettersi un’opulenta cerimonia, eppure si finge un facoltoso proprietario d’albergo, la Locanda della Felicità.

Quest’ultima è in realtà un autobus abbandonato che Zhao, su consiglio del collega Li, stanco di concedergli prestiti, ha adibito a romantico luogo d’incontro per coppiette in cerca di tranquillità.

Mentre il mezzo viene rimosso, l’aspirante sposo deve anche trovare una sistemazione per Wu Ying, malvoluta in famiglia; grazie alla collaborazione di alcuni amici, Zhao la “assume” come massaggiatrice nel suo “hotel”.

Recensione

All’interno di una filmografia che ormai spazia sempre di più fra le epoche, l’acclamato maestro cinese Zhang affronta nuove facce del proletariato con il sorriso sulle labbra, senza tuttavia dimenticare gli obbiettivi divulgativi (specialmente per l’Occidente) del suo cinema.

Nella trama di primo acchito semplice si annidano probabili allegorie di ampio respiro, magari su un governo incapace di mantenere le proprie promesse ad un popolo cieco e fintamente fiducioso.

Ma anche evitando di lambiccarsi troppo, ci troviamo di fronte ad un prodotto genuino e salutare, pervaso di balsamico altruismo da contrapporre alla meschinità umana (Wu Ying sembra proprio una moderna Cenerentola).

Fra gli esecutivi figura nientemeno che Terrence Malick, il poco prolifico regista statunitense de La sottile linea rossa.

Max Marmotta