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Recensione

Già autore dello spiritoso e tempestivo Fuga dal call center, Federico Rizzo si cimenta ora con un crime movie (dal libro di Donald Vergari) piuttosto semplice per impianto e intenti, tra l’altro conosciuto pure con i titoli Angelo Bianco – Il ragioniere della mafia e Il mio nome è Angelo Bianco.

Quest’ultimo, celato dietro pseudonimo “d’arte”, ha il volto incupito di Lorenzo Flaherty ed è un giocatore indebitato che riesce a riciclarsi come uomo di fiducia di diversi (persino troppi) sistemi malavitosi incrociati, a partire dalla Puglia.

Affiancato da una guida esperta (Nando Irene), l’uomo viaggia per l’Italia e nel mondo (dagli USA alla Colombia, ma le locations sono “truccate” senza grandi preoccupazioni) per creare o rinsaldare legami tra boss (impersonati da Tony Sperandeo, Franco Neri e un grottescamente spietato Ernesto Mahieux) o con i cartelli della droga.

Alla fine ne sa abbastanza per tenere in pugno tutti. Interpretato pure da Ciro Petrone, Simona Borioni e Rosalinda Celentano, il film procede spavaldo fino alla conclusione, incurante della veridicità delle azioni o della credibilità dei personaggi, tuttavia nutrito dall’immaginario di genere.

Non è detto che non susciti attenzioni controcorrente.

Max Marmotta