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Trama

Tom Stall è un uomo tranquillo, possiede un bar in una cittadina di provincia. È sposato da tempo con la bella Edie e ha due figli, l’adolescente Jack, insistentemente provocato a scuola dal coetaneo invidioso Bobby, e la piccola Sarah.

Una sera, all’orario di chiusura del locale, entrano due loschi figuri, intenzionati a mettere a segno l’ennesima rapina della loro “carriera”.

Tom reagisce energicamente, li picchia, li disarma, li uccide, diventando in breve l’idolo della comunità e dei tg.

Dopo poco tempo al suo bancone si presenta una nuova compagine di criminali, stavolta benvestiti. Si tratta di Carl Fogarty e dei suoi scagnozzi. Il capo provoca sinistramente Tom, che ha visto e riconosciuto in televisione, asserendo che quello non è il suo vero nome: si chiamerebbe in realtà Joey Cusack, e sarebbe il responsabile delle torture subite anni prima da Fogarty, che lo hanno lasciato orrendamente sfigurato e quasi cieco da un occhio.

Tom fa sembiante di non intendere, ma capisce immediatamente che la quieta esistenza della sua famiglia è in serio pericolo.

Recensione

Dopo Spider, Cronenberg sembra averci preso gusto a lavorare su materiale altrui. Ma se nel caso del libro di Patrick McGrath fu lo stesso autore a scrivere l’adattamento, qui la sceneggiatura di Josh Olson prende solo a pretesto la graphic novel di partenza per sviluppare un film, a detta del regista di Scanners, “commerciale”.

Ma se questo o La mosca o La zona morta sono film commerciali, c’è da domandarsi che roba sia quella che domina abitualmente i botteghini dell’asse Roma-New York.

La polisemia narrativa è evidente sin dal titolo, che si potrebbe tradurre in “un fatto di violenza”, benché history, al contrario di story, faccia riferimento (e non è una coincidenza) alla “storia” dell’umanità.

D’istinto verrebbe da pensare alla cronaca spicciola, al pari della “storia di corna”, ma la portata contenutistica è ben più ampia, perché nemmeno qui Cronenberg rinuncia al suo topos prediletto: la mutazione, sia essa fisica, genetica o psicologica.

Tom sa, per quanto molto intimamente, di essere Joey, ma se ne è in pratica dimenticato, è stato assorbito dalla sua nuova famiglia e dalla sua nuova esistenza, è un padre modello che impartisce metodi pacifici al figliolo, è un marito affettuoso (la consorte Edie tenta di recuperare gli anni giovanili dell’uomo, in cui ancora non si conoscevano e sono avvolti da fitto eppur non inquietante mistero, attraverso un rapporto sessuale durante il quale si veste da liceale), un gran lavoratore, un amato concittadino.

Tuttavia Joey, in lui, non è completamente morto, non è stato definitivamente esorcizzato da una errabonda peregrinazione desertica un ventennio addietro; anzi, quasi evocato da uno squarcio nel piede, è pronto a ripresentarsi in tutto il suo innato sadismo delinquenziale alla prima, “insperata” occasione di menar le mani.

La coreografia del suo atto di difesa (ce ne saranno ulteriori a dare conferma) è precisa, secca, rapida, degna di un film di arti marziali, spia di un piacere lontano ma soltanto assopito; i due furfanti incalliti (splendido il sonnolento e spietato piano-sequenza che inquadra l’inizio del loro ultimo giorno di vita, più che un paio di gaglioffi – capaci di sparare a una bimba indifesa che l’abile montaggio accosta in maniera agghiacciante a Sarah – un’unica personalità nascosta che sta inevitabilmente ritornando a galla) cadono sotto i suoi colpi, il “demone sotto la pelle” recede subito ma è ormai chiaro che potrà riaffiorare in qualsiasi momento.

È un germe, la violenza, forse ereditario, tant’è che il posato rampollo Jack se lo ritrova nell’istante del confronto con il suo martellante aguzzino scolastico, non invincibile e soprattutto stupido, e quando si ritroverà ad uccidere a sua volta.

Fogarty è (ha) un’altra faccia della brutalità, magari più calcolata ed “elegante” (non sa che farsene di una vendetta trasversale, oltre a considerarla con ogni probabilità moralmente scorretta), non irruente e perciò più vulnerabile (e per l’appunto si vede); il suo bisogno di rivalsa old style è quasi comprensibile.

In fondo pure lui è un simbolo, un veicolo la cui funzione è instillare dubbi costruttivi – però, alla fine dei conti, non sufficienti a demolire, solo a ridefinire gli affetti – in Edie (straordinaria da ogni punto di vista Maria Bello) e, per estensione, nei restanti familiari e abitanti del luogo.

Del resto, la coniuge, dapprima aggredita dal “rinnovato” partner, si dimostra pronta ad adattarsi, così come Sarah, in teoria la più ingenua, accoglie (effettivamente ignara) il genitore assassino conclamato apparecchiando per lui.

Nelle ore precedenti la “minaccia” Joey per (auto)debellarsi ha dovuto rituffarsi nel passato, è tornato rischiosamente al cospetto del mefistofelico fratello Richie (un William Hurt gigione ma indicato), al quale ha rovinato l’abietta reputazione, per affrontarlo.

Una vicenda densa di significati, dunque, meravigliosamente sintetizzati dall’immagine contenuta nel manifesto della pellicola (un encomio anche a chi lo ha realizzato): Tom di fronte a una mano armata (veridicamente la sua, cioè di Joey) che gli copre parzialmente il volto, celandone la vera natura, e incombe sui suoi cari, rappresentati, in secondo piano, dalla ancor fragile figura di Edie.

Da appendere.

Max Marmotta