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Trama

Padova, 1976. Massimo Carlotto, studente diciannovenne militante tra le fila di Lotta Continua, trova un cadavere. Denuncia l’accaduto, ma da testimone si trasforma rapidamente in sospetto, estenuato da lunghi interrogatori e condannato da un forte pregiudizio nei confronti della sua attività politica.

L’avvocato Vignoni intercede per lui ma non riesce ad evitargli il carcere. Dopo alcuni anni e vari processi, il giovane, costantemente sostenuto dagli addolorati genitori, approfitta di un permesso per fuggire in Francia.

Senza conoscere una parola della lingua e completamente allo sbando, si rivolge a una persona segnalatagli dai compagni, il misterioso cileno Lolo, che lo istruisce sulla vita da condurre e gli procura lavoro, casa e nomi di copertura.

Per un po’ Massimo riesce ad incontrarsi saltuariamente con la fidanzata Alessandra. Dopo, stanco della precarietà, si reca in Messico, dove lo attendono nuove sofferenze.

Recensione

La figura incompleta e la postura del protagonista Daniele Liotti, alla sua prima prova d’attore davvero matura, sul bel manifesto del lungometraggio sono eloquenti: Carlotto, vittima di un’assurda supponenza istituzionale che non gli ha mai reso giustizia (ancor oggi si ignora chi fosse il vero omicida), ha passato buona parte della sua vita a guardarsi le spalle, non potendo mai rimanere fermo nello stesso posto.

Un’esistenza masticata, incompleta, una causa inutilmente perorata da parenti e legali e sostenuta da un solidale gruppo di opinione costituitosi nel tempo.

Non l’unica inchiesta traviata della nostra storia, ma sicuramente una delle più emblematiche. Carlotto, oggi apprezzato scrittore, ha redatto la sceneggiatura (comprendente, a scopo correttamente enfatico, didascalie che scandiscono per accumulo gli anni rubati al protagonista) a quattro mani con il regista, proveniente dal piccolo schermo ed attento a non rivelare nulla dell’assassinio iniziale, semplice scintilla di un meccanismo mostruoso.

Azzeccato il cast, nel quale si distingue un inedito Alessandro Benvenuti (l’avvocato Vignoni). Unica pecca (ahinoi, diffusa) di un film ineccepibile e coraggioso: in un abbozzato ma credibile collage linguistico, due dialoghi, uno dei quali alquanto lungo, sono parlati (e recitati!) inspiegabilmente in italiano anziché in francese.

Non è pignoleria: si tratta di non confondere lo spettatore, sia egli avvinto o distratto.

Max Marmotta