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Trama

New England, 1953. Presso il prestigioso college femminile di Wellesley giunge Katherine Watson, insegnante progressista di storia dell’arte, fidanzata con Paul Moore.

Le sue allieve, fra cui la benestante e arrogante Betty Warren, futura sposa di Spencer Jones, la compita Joan Brandwyn, promessa a Tommy Donegal, la disinibita Giselle Levy, la timida Constance Baker, non l’accolgono bene, dimostrandole di conoscere a memoria i libri di testo.

Katherine, anche su consiglio della collega uscente Amanda Armstrong, deve così trovare un modo per imporsi e per comunicare le sue idee: la donna, infatti, ritiene assurdo che tutte queste ragazze studino per diventare irrimediabilmente casalinghe, secondo le tradizioni e il volere di consorti e famiglie.

La professoressa lega presto con un altro docente, il rubacuori Bill Dunbar, mentre comunica di meno con la repressa coinquilina Nancy Abbey.

Intanto Joan sogna di essere accettata a Yale e Constance s’innamora dell’impacciato Charlie Stewart.

Recensione

Neanche a dirlo, lo spunto è ispirato alla realtà. Spiace però constatare che il bravo Mike Newell, un po’ sottotono, non riesca ad affrancarsi dalle atmosfere studentesche che caratterizzano L’attimo fuggente o il recente Il club degli imperatori.

L’emancipazione femminile è un argomento serio ed è bene ribadire alle giovani generazioni quante convenzioni persistevano solo cinquant’anni fa, certificate da manifesti e trovate pubblicitarie che oggi ci appaiono ridicoli; però qui non si va oltre una certa calligrafia e qualche palese schematismo per il pubblico di bocca buona.

Senza contare che, tutto sommato, tra una convivenza, un’avventura e un amore gay la società descritta nel film non appare omologamente rigida.

Superfluo specificare che l’intero cast d’attrici si distingue, con menzione speciale per l’accalorata Kirsten Dunst (Betty) e la trasgressiva Maggie Gyllenhaal (Giselle).

Solita marachella dei distributori italiani, che al manifesto originale, rappresentante le protagoniste in piena contemplazione artistica, uno dei pochi mezzi, forse, per evolversi, preferisce una doppia e fuorviante immagine della Roberts, con un sorriso a trentadue denti che non ha molto a che fare con quello appena accennato dell’altrettanto anticonvenzionale (come viene sottolineato in un dialogo) Gioconda.

Max Marmotta