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Recensione

Dopo aver co-diretto (con Stéphane de Freitas) il bel documentario a destinazione televisiva A voce alta – La forza della parola (sull’eloquenza come arma di emancipazione), il maliano Ladj Ly debutta nel lungometraggio di finzione con quello che d’emblée potrebbe sembrare l’aggiornamento dei temi veicolati da Fa’ la cosa giusta o L’odio. In quanto a possibili riferimenti cinematografici si può in effetti spaziare parecchio, e non solo sul versante dell’emergenza sociale nelle periferie (Training Day, The Horde…), ma non è che la dote supplementare di un’opera autonomamente lucida, dinamica e amara. E il classico di Victor Hugo richiamato dal titolo c’entra solo per lo sguardo sulla (nuova) povertà e perché esplicitamente citato in un passaggio.

Siamo a Montfermeil, non lontano da Parigi. Qui giunge l’agente Stéphane (Damien Bonnard), accettato nella brigata anti-crimine e di pattuglia durante il suo primo giorno con gli scafati colleghi Chris (Alex Manenti, che ha scritto la sceneggiatura insieme al regista e al cileno Giordano Gederlini) e Gwada (Djibril Zonga). I metodi spicci applicati dai due e ampiamente tollerati (vedi la quasi imbarazzante scena con la superiore Jeanne Balibar) lasciano interdetto il nuovo arrivato, che partecipa all’indagine sul furto di un cucciolo di leone da un circo che rischia di fare esplodere un pericoloso conflitto fra le varie etnie che popolano la cittadina. È proprio lo sguardo sulle comunità il motore del plot: ogni area ne ha una, con un capo a cui rivolgersi, però quanto è solida ciascuna “autorità”? E quanto può tirare la corda la polizia prima che i già fragili equilibri – uno dei pochi collanti del popolo è il calcio, suggerisce l’incipit – collassino? Anzi, che accade quando proprio chi dovrebbe vigilare sull’ordine perde il controllo e provoca disordine, con il rischio ulteriormente destabilizzante di essere scoperto (complice un drone, ormai alla portata di tutti)? La full immersion di Stéphane, il suo cambio di prospettiva rivelano mirabilmente la caducità umana.

Max Marmotta