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Recensione

Sarà perché il regista Brandon Camp, che ha alle spalle esperienze televisive in qualità di sceneggiatore e produttore, esordisce dietro la macchina da presa, sarà perché è difficile raccontare qualcosa di sostanzialmente nuovo nelle commedie romantiche (pur dotate, assai spesso, di stimolanti cenni drammatici), ma questo film non riesce a mantenere alta la soglia dell’attenzione fino alla fine.

Anzi, il problema risiede proprio nell’ultima mezz’ora (grosso modo quando entra in scena il pappagallo), dove sembra che le componenti psicologiche dei personaggi (del concentrato protagonista Aaron Eckart in particolare) non sappiano esattamente dove andare parare, o meglio attraverso quale percorso (scontato) arrivare alla conclusione annunciata.

Volendo, nel complesso, non è neppure grave, dato che la scena di chiusura è abbastanza riuscita e tutto il resto è alquanto accettabile, malgrado le espressioni “didascaliche” ingenuamente imposte a molte comparse o certi passaggi poco credibili (vedi il primo invito a cena).

E un’ulteriore concessione si può fare alla trama, di stampo classico (lui vedovo incupito, lei incapace di trovare un uomo stabile) ma infarcita di motivi più profondi (lui, provato e insicuro, è diventato paradossalmente famoso scrivendo un libro e tenendo seminari sull’autostima a persone che hanno vissuto un lutto simile al suo, lei è una fioraia che ama le parole complicate e le scrive dietro ai quadri), sebbene quasi mai adeguatamente sviluppati.

Insomma, a patto di non cercare il pelo nell’uovo, è una di quelle pellicole per serate disimpegnate, che si dimenticano piuttosto presto.

Con due assi nella manica, comunque: Jennifer Aniston, bella e definitivamente brava, e il mastodontico caratterista John Carroll Lynch, la cui sensibilità nelle scelte e nelle interpretazioni passa sempre meno inosservata.

Max Marmotta