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Recensione

A parte l’Oscar al mefistofelico Michael Douglas, non è che Wall Street abbia inciso più di tanto, sul piano concettuale, nella filmografia del battagliero Oliver Stone.

Eppure, a rivederlo oggi, a ventitré anni di distanza, s’intende che il ragionamento sull’avidità e su ciò che essa muove nel mondo, finanziario in particolare, è tuttora attuale, anzi è possibile svilupparlo ulteriormente.

Devono essere partiti da questa constatazione gli sceneggiatori Allan Loeb e Stephen Schiff quando si sono messi al lavoro su un sequel (il primo nella carriera del cineasta) che, sulla carta, sembrava avere poco da offrire.

D’altro canto, non era facilissimo riprendere le fila di un discorso in effetti interrotto, ritrovare lo spietato e inguaribile manipolatore Gordon Gekko (un ancora assai convincente Douglas) dopo così tanto tempo, reduce da meritata reclusione ma indomito e abilissimo nel riadeguarsi a un sistema semplicemente velocizzato dalla tecnologia, sebbene non immune da rigurgiti di coscienza (una “stonatura”? Cinematograficamente forse no).

Ed è importante che la giovane vittima di turno, Jake Moore (il lanciato Shia LaBeouf), suo futuro genero (benché la fidanzata non voglia più saperne del padre), punti coerentemente, con i tempi che corrono, a investire sull’energia pulita per cinico calcolo.

Insomma, l’operazione appare vincente perché il realistico panorama tratteggiato non è dei più confortanti, la crisi si rivela addirittura mortale per qualcuno e gli squali famelici e traditori, veterani o meno, sono dovunque.

Magari manca qualche limatura, ma il film funziona, e va a formare un dittico di imprevedibile efficacia.

I camei dell’agente immobiliare Sylvia Miles e di Charlie Sheen (non accreditato), poi, sono quasi geniali.

Max Marmotta