
Rabbit Hole
- John Cameron Mitchell
- Aaron Eckhart, Dianne Wiest, Miles Teller, Nicole Kidman
- Amazon Prime, Drammatico
- Stati Uniti
- 16 December 2010
Recensione
La sobrietà e l’asciuttezza del nuovo film di John Cameron Mitchell, ricco di interni e perciò “interiore”, colpiscono tanto più se si pensa agli eccessi, comunque coerenti, delle sue opere precedenti, che non mancarono di destare scandalo: Hedwig – La diva con qualcosa in più (2001), del quale era anche protagonista, e Shortbus (2006).
Senza rinunciare a un tocco d’autore, il regista si è affidato stavolta a un testo teatrale, vincitore del Pulitzer nel 2007, di David Lindsay-Abaire (che l’ha pure adattato per il cinema) riguardante una coppia – sullo schermo formata da una Nicole Kidman candidata all’Oscar e da un Aaron Eckart che dimostra di non temerne la bravura (i due attori, per prepararsi meglio ai loro ruoli, hanno vissuto sotto lo stesso tetto per un po’) – affranta dalla perdita del suo unico figlioletto, vittima di un investimento d’auto.
La chiusura quasi totale della donna contrasta con i volenterosi, ma a tratti claudicanti, tentativi del consorte di reagire.
L’amore degli altri familiari (con i quali si trova spesso in contrasto), la terapia di gruppo, l’intimità, l’eventualità di dare alla luce un altro bambino sembrano non lenire la sofferenza di Becca (è il nome della moglie), stranamente smossa, invece, da un bizzarro – eppur non privo di basi scientifiche – ragionamento sugli universi paralleli; un’idea proveniente, peraltro, dal più impensabile degli interlocutori.
La via per lo scioglimento (possibile) dei nodi ha un sapore simbolico, le psicologie, comprese quelle dei comprimari, dalla madre pia alla sorella istintiva, fino all’“insidiosa” coordinatrice del gruppo di ascolto, sono studiate con attenzione.
Certo, c’è qualche temeraria affinità tematica con Il figlio (2002) dei fratelli Dardenne, tuttavia la scelta di evitare la china del dramma strappalacrime compensa la somiglianza.