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Recensione

Visto due anni fa, il lavoro di McCarthy, attore secondario (Ti presento i miei) e discreto regista (L’ospite inatteso), ci avrebbe fatto dubitare della sua idoneità a dirigere il serissimo Il caso Spotlight.

Non perché a questa surreale commedia da lui anche scritta (con Paul Sado) manchino spunti, e nemmeno un degno protagonista (Sandler da riflessivo rende meglio).

Il problema risiede semmai nella grossolanità perfino ideologica che spesso s’insinua nelle pellicole interpretate dal comico (come i triti stereotipi su giudei, neri e transgender).

Qui il nostro è un calzolaio ebreo, Max Simkin, che vive con l’anziana madre, erede di un’attività che si tramanda da generazioni oggi minacciata dai soliti squali dell’edilizia.

Per puro caso scopre che risuolando le calzature con una vecchia cucitrice abbandonata in cantina e indossandole assume le sembianze dei suoi clienti; purché portino il 44 ½… Film quasi fiabesco, in fondo non del tutto limitato, però sviluppato distrattamente: nessuno reclama i calzari, Max pare che si rivolga alla polizia per farsi prendere per pazzo, i suoi vestiti si adattano assurdamente a ogni corporatura, il violento Leon (Method Man) rinuncia a picchiarlo per motivi imperscrutabili, il padre (Hoffman, il cui doppiatore, Giorgio Lopez, è lo stesso del bravo Buscemi, nel ruolo del vicino barbiere…) conosce inspiegabilmente la causa del suo senso di colpa, ecc. Insomma, sciatteria a go-go. Peccato.  .

Max Marmotta