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Recensione

Sono davvero tante le componenti della più recente fatica di De Matteo, uno che da Ultimo stadio (2002) a La vita possibile (2016) continua scandagliare con terso sconforto i mali della società moderna, o quel che ne rimane.

E gli sfondi non sono mai secondari. Stavolta propone il nord-est benestante, dove Giorgio (Marco Giallini), romano “terrone (come lo definisce la frustrante suocera Erika Blanc, sgarbata anche con la badante rumena Sonia e il di lei figlio Adrian, ovvero Cristina Flutur e Ioan Tiberiu Dobrica), si è accasato con la fragile Diletta (Michela Cescon), proprietaria terriera.

Sono genitori dell’adolescente tendente ad affrancarsi Bea (Monica Billiani) e frequentano un po’ troppo un poliziotto meridionale marcio (Massimiliano Gallo, impressionante), un medico biforcuto (un laido Bebo Storti) e un prete non irreprensibile (Vinicio Marchioni).

Dopo un metaforico prologo di caccia, il film evidenzia subito la pasta di cui sono fatti i personaggi per far montare una progressione drammatica a base di perfidie, traumi, invidie, rancori, probabili tentativi di furto, detenzione illegale di armi, abusi di potere, omissioni di soccorso, corruzione.

All’interno della villetta (non per nulla multipiano) nella quale si raggruma la trama tutti hanno (e sono legati da) qualcosa da nascondere, le verità taciute si alternano alle falsità enunciate (talvolta smentite).

Da vedere con l’ansia di enucleare una morale. .

Max Marmotta