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Recensione

Non c’era che Joe Carnahan (l’ottimo Narc, visto in Italia solo in home video, e l’esagitato Smokin’ Aces) per tradurre sul grande schermo il mitico telefilm A-Team, trasmesso con successo negli USA (e poi da noi) tra il 1983 e il 1987, protagonista una squadra di reietti reduci del Vietnam (qui dell’Iraq) operanti clandestinamente per le buone cause.

Certo, il capace e inventivo regista cede, in parte, ai dettami del blockbuster, ma la formula tiene; certo, delle inevitabili differenze di ritmo e impostazione (sono anche passati più di vent’anni!) si sono lamentati due membri del vecchio cast, Mr T e Dirk Benedict (il quale fa una comparsata insieme al collega Dwight Schultz in una breve sequenza post-titoli di coda; il “capo” George Peppard, invece, è scomparso nel 1994), ma ci sono analoghi esempi di trasposizione che l’han buttata molto più sul ridicolo (Charlie’s Angels, Starsky & Hutch); certo, si esagera, ma questa è Hollywood, baby! Dunque, dopo una missione finita ingiustamente nel disonore, Hannibal Smith (credibilmente ripreso da un canuto Neeson) “scarcera”, a scopo riabilitativo, i suoi uomini: il seduttore Peck, detto Sberla (Cooper), disobbediente oculato, l’incosciente Murdock (il bravissimo sudafricano Copley di District 9, evidentemente intenzionato a farsi strada nel cinema commerciale) e il massiccio P.E. (Pessimo Elemento) Baracus (il lottatore di arti marziali miste Rampage). Un ambiguo alleato della CIA (Wilson) li instrada verso chi li ha traditi, una tenace agente (Biel), sentimentalmente coinvolta, li bracca.

Prodotto da Ridley e Tony Scott, il film allieta. Dove sta il problema, allora? Non tanto nello strafare nel rush finale, quanto in ironie “etniche” troppo facili, in qualche ardito rovesciamento di senso (il pensiero non violento di Gandhi) e nella “licenza di uccidere”, assente in tv.

Max Marmotta