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Trama

Vienna, inizio ’800. Dopo un tentativo di suicidio, l’anziano Antonio Salieri viene ricoverato in manicomio. Qui l’ex-compositore della corte d’Austria si abbandona ad una lunga confessione, ascoltata da un incredulo sacerdote.

È il racconto della sua ammirazione mista ad odio e invidia per Wolfgang Amadeus Mozart, giovane musicista, irruente e scostumato, in grado di scrivere bellissimi concerti e opere sin dalla più tenera età, giunto da Salisburgo presso l’imperatore Giuseppe II sul finire del secolo precedente.

Incline al libertinaggio, Mozart si unì in matrimonio con Constanze e per un certo periodo l’apprezzamento della sua ineguagliabile arte prevalse sulle vergogne del suo carattere sregolato.

La morte del padre segnò l’inizio della sua deriva; di ciò approfittò proprio Salieri, deciso ad annientarlo, che adesso si accusa di averlo ucciso.

Recensione

Riedizione di lusso (musiche rimasterizzate, venti minuti di scene aggiunte, fra le quali quelle del camerino e del ricco cinofilo) per questo formidabile film del ceco Miloš Forman (non per nulla, le riprese sono state effettuate a Praga), solo relativamente biografico (anche se qualcosa di vero c’è): infatti, la pièce di Peter Shaffer più che da attendibile fonte storica (la tesi dell’avvelenamento, comunque non chiarita, era principalmente una convinzione dello stesso Mozart morente) occorre da pretesto per parlare della musica di un incontestabile genio e del tormento senza requie(m) della mediocrità tuttavia capace di riconoscere un dono divino.

Questo aspetto è ampiamente sviscerato da Forman, che più in là avrebbe trattato altri personaggi realmente esistiti, anche grazie alla figura di Antonio Salieri, alias F. Murray Abraham, gigione quanto basta quando è truccato da vecchio, opportunamente premiato con uno degli otto Oscar che guadagnò pellicola: i lampi nei suoi occhi mentre legge gli spartiti dell’avversario o nell’apprendere che sta circolando la voce sulla sua colpevolezza e il sincero aiuto che offre al sofferente Mozart durante la sua agonia (pur se inventata, una delle scene migliori) contribuiscono all’ineffabilità della sua interpretazione.

Gli risponde uno scatenato Tom Hulce dalla risata cavallina: peccato che il cinema in seguito si sia dimenticato di lui.

Max Marmotta