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Trama

Shanghai, futuro prossimo venturo. In una società in cui chi è sprovvisto di “papeles” (polizza, visto e passaporto in un sol documento) è condannato a vivere in baraccopoli interne alle città, senza alcuna possibilità di spostamento verso altri agglomerati urbani (separati tra loro da vaste zone desertiche), il detective assicurativo William, alle dipendenze della potente Sphinx e sposato con Sylvie, identifica, grazie anche alla contrazione del virus dell’empatia, che gli permette di penetrare i pensieri altrui, nella collaudatrice Maria la responsabile di una misteriosa fuga di permessi.

Incuriosito dalla giovane, di indole ribelle, l’uomo decide di non denunciarla, innamorandosene e finendo a sua volta nel mirino delle autorità.

I due devono darsi alla macchia, anche perché non sanno di aver infranto pure il codice 46, che vieta di accoppiarsi a chiunque abbia una seppur lontanissima affinità genetica.

Recensione

Sembra una trama di matrice dickiana, ma senza l’azione che caratterizza le pellicole tratte dalle opere del geniale scrittore di fantascienza.

L’eclettico Winterbottom, capace, è bene ricordarlo, di spaziare dal dramma di Go Now alla guerra di Benvenuti a Sarajevo, o dalla leggerezza di With or Without You allo stile documentaristico di Cose di questo mondo, preferisce concentrarsi su un ritmo più riflessivo, affidandosi a scenografie essenziali (tipiche della sempre più rara sci-fi minimalista) e preconizzando comunque un regime societario repressivo, coercitivo.

Condotto per tutta la prima parte come un’indagine (lei mente?), il film diventa poi una storia d’amore impossibile, sia per le rigide regole esterne che per le consequenziali cancellazioni mnemoniche (un topos esageratamente frequente di questi tempi) a cui vengono sottoposti i due protagonisti, i convincenti Tim Robbins e Samantha Morton.

Ad insaporire la pietanza, l’uso di una particolare linguaggio, zeppo di infiltrazioni (vocaboli, saluti, motti) provenienti dai più disparati idiomi.

Peccato che alla completa “degustazione” manchi un quid, un additivo che faccia promuovere a pieni voti il lavoro di regista e sceneggiatore.

Max Marmotta