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Recensione

Già depone male un film che viene diffuso (dalla Lucky Red!) con un doppio titolo, ognuna delle cui parti sembra autonoma e atta a ingenerare confusione (la prima rimanda a un lavoro di Marco Risi e a uno di Matthew Harrison, la seconda si sovrappone a Il genio della truffa di Ridley Scott); se poi il veloce trailer televisivo tace completamente (con spirito censorio?) dell’omosessualità del protagonista (uno sprecato Jim Carrey), con un lancio da commedia senza peculiarità, e fa sparire del tutto il secondo nome in cartellone (il pur bravo Ewan McGregor, relegato in un angolino nel manifesto italiano), c’è da pensare che l’imbroglio vogliano propinarlo i distributori! Ma i produttori, fra i quali figura un dannoso Luc Besson, non si dimostrano da meno.

Ispirata al libro autobiografico di Steven McVicker e diretta da due esordienti forse più a loro agio come sceneggiatori di opere altrui (Babbo Bastardo), la pellicola racconta di Steven Russell, un poliziotto sposato che, scoperto il proprio trasporto per gli uomini, molla la famiglia e si dedica alla bella vita, spillando soldi alle assicurazioni.

Finito in galera, il nostro si ritrova innamorato perso del fragile detenuto Phillip Morris (una “l” in più rispetto alle famose sigarette), e prova a conquistarlo con ogni mezzo, proteggendolo e coccolandolo.

Con gli attori a disposizione, si potevano accentuare i lati drammatici e romantici della vicenda, senza scadere per forza negli eccessi e nelle volgarità che costellano inutilmente la narrazione, rimbalzata sterilmente tra ospedali e prigioni.

Il diritto alla scorrettezza è inappellabile, ma quando si scivola verso uno scherzo improprio di un’ora mezza, si rischia di esaurire la pazienza del pubblico.

Unico brano davvero riuscito, quello della barzelletta “mutata geneticamente”.

Max Marmotta