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Recensione

Cos’hanno in comune le cupe indagini avveniristiche di Blade Runner e Atto di forza, le nefande anticipazioni di Minority Report e Next, le faticose ricostruzioni identitarie di Paycheck e A Scanner Darkly, le inquietanti incertezze dei meno noti The Impostor e Screamers? Presto detto: provengono tutte da racconti lunghi o brevi di Philip K. Dick, la cui fama cinematografica, ahilui postuma, è strettamente legata alla minuziosa pre-visione di un futuro corrotto, compromesso dall’uomo, ossessionato da una strabiliante evoluzione tecnologica che gli si ritorce contro, con grossi danni soprattutto per la coscienza individuale.

In ogni storia partorita dallo scrittore, tuttavia, c’è un margine di speranza, poiché la sorte di ciascuno, sia egli iper-senziente o colpito nella memoria, non è immodificabile.

La summa di cotanta filosofia travestita da fantascienza sembra spuntare da quest’esordio nella regia del quotato sceneggiatore George Nolfi, che si abbevera a sua volta alla fonte dickiana.

Eccolo dunque mettersi alle calcagna di un precoce candidato al Senato degli Stati Uniti (Matt Damon, definitivamente uno dei grandi attori della contemporaneità) e di una promettente ballerina (la sempre più richiesta Emily Blunt).

I due s’incontrano per caso e si piacciono da subito; purtroppo, una relazione intralcerebbe le loro imminenti brillanti carriere, ed è per questo che si mettono di mezzo dei misteriosi tizi con il cappello.

Il loro compito – normalissima amministrazione – è rimettere in carreggiata le esistenze di David ed Elise (così si chiamano).

Il guaio è che l’attonito politico si trova imprevedibilmente a interagire con tali inopinate figure… Niente patemi; piuttosto, è una discreta suspense il condimento di una trama che invita a ragionamenti profondi partendo da una comune vicenda sentimentale.

Fecondamente.

Max Marmotta