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Recensione

Cominciamo dai difetti.

La dichiarata semplicità divulgativa conduce a uno stile televisivo, il che, purtroppo, comporta pure la mancanza di alcune limature di sceneggiatura.

D’altronde, non basta scegliere un argomento nobile (nella fattispecie, la ricostruzione abbastanza romanzata delle vere indagini condotte in Germania a partire dalla fine degli anni ’50 alla ricerca degli ex-criminali nazisti perfettamente reintegratisi nella società) per realizzare un bel film; ci vuole un adeguato sviluppo narrativo, possibilmente veicolato da personaggi credibili.

In effetti, il giovane e focoso procuratore protagonista, Radmann, interpretato da Alexander Fehling, non è esistito, al contrario del suo capo Bauer (che ha il volto del compianto Gert Voss), il quale contribuì davvero a stanare gli assassini spogliatisi della divisa.

Specificato ciò, il debutto nel lungometraggio di Ricciarelli, milanese trapiantato a Monaco, oltre a parlare di inconsapevolezza, rimozione, insabbiamento di fatti indicibili, possiede la preziosa capacità di scuotere la platea in almeno un paio di sequenze: l’uscita di una sconvolta segretaria (Hansi Jochmann) dalla stanza in cui un sopravvissuto racconta le inumane efferatezze dei campi di concentramento e il ricordo affranto dell’artista (Johannes Krisch) che consegnò le sue gemelle all’aguzzino Mengele, sadica figura già terribilmente rievocata dal recente The German Doctor.

Il resto viene da sé. .

Max Marmotta