Video & Photo

1 videos

Recensione

Ha dell’incredibile l’operazione condotta con fondi internazionali da Matteo Garrone. Già scegliere tre segmenti (su una regina determinata a portare in grembo un erede, un re che trascura la figlia per una pulce e un altro lussurioso che corteggia senza tregua una vicina dopo averla sentita cantare ignorando che si tratta di una vecchina) da Lo cunto de li cunti, raccolta secentesca di novelle in dialetto napoletano scritta da Giambattista Basile, non dev’essere stato facile; ma anche adattarli, conferire loro la necessaria “vendibilità” approntando una confezione perlomeno competitiva con effetti speciali prevalentemente animatronici, non era scontato.

In più, s’imponeva un tono lugubremente fiabesco, venato di quell’inquietudine capace di frugare dentro lo spettatore, senza bisogno di spiegazioni.

È andata più che bene: al netto di due o tre inquadrature troppo esitanti per non scalfire il “magico” equilibrio, il film segna un precedente assai importante nella nostra cinematografia, così avara di degni titoli fantasy.

Il cast s’inserisce a meraviglia nel quadro. L’arida Hayek non dedica uno sguardo all’eroico consorte Reilly che giace ai suoi piedi, ma il rampollo e il suo migliore amico (i gemelli Christian e Jonah Lees) non si piegheranno al suo volere; a Bebe Cave toccano le sofferenze inflittele involontariamente dal padre (Jones, valorizzato come merita); il potere di Cassel non gli evita traumi sessuali.

E perfino i saltimbanchi che collegano le vicende (fra loro Rohrwacher e Ceccherini) hanno il loro momento clou.

Max Marmotta