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Recensione

La guerra dei mondi di Steven Spielberg appare in definitiva come una riuscita opera di cassetta, con rimarchevoli momenti d’autore.

Senza prendere troppo le distanze dall’omonimo film del 1953, sempre tratto dal classico di Wells, il regista lo cita in più occasioni e mantiene l’escamotage anacronistico della voce narrante (Morgan Freeman), continuando a soddisfare la propria poetica.

Pessimista e cinica quanto Minority Report, di cui conserva il medesimo protagonista, la pellicola si allontana decisamente dal cinema catastrofico dell’ultimo decennio, che trovava i suoi protagonisti in scienziati o militari.

Allo stesso modo di Incontri ravvicinati del terzo tipo, si sceglie per l’appunto di incentrare la vicenda sull’uomo comune (persino incolto) investito da un evento straordinario, anche se la forza de La guerra dei mondi risiede più che altro nel riciclare quella tensione e quel gusto per il ritmo che nascono con Duel.

Il gruista Ray Ferrier (Cruise), padre tutt’altro che irreprensibile, sta infatti per trascorrere il week-end con i figli Robbie (Chatwin) e Rachel (Fanning), affidatigli dall’ex-moglie Mary Ann (Otto).

Ma una strana tempesta di fulmini si abbatte sulla città. È il prologo a un’invasione aliena: le strade si spaccano e dal sottosuolo emergono giganteschi macchinari da guerra tripodi.

La famiglia Ferrier, con molte altre, dà inizio a una fuga senza sosta verso Boston, dove si trova Mary Ann, e, cercando disperatamente di evitare il massacro in atto, accetta anche la temporanea ospitalità dello strambo Ogilvy (Robbins) nello scantinato della sua casa.

E pur sfruttando un soggetto di pura fantasia, Spielberg riesce a cogliere splendidamente la psicologia della massa impaurita con sconvolgenti picchi di realismo.

Ancora una volta l’invasione extraterrestre è utilizzata con intenti metaforici, i quali non si riferiscono soltanto alla paura del terrorismo post-11 settembre ma anche alle calamità naturali sempre incombenti, quasi a voler delineare un globo terrestre ormai assuefatto a uno stato di perenne allerta.

L’ottimo lavoro del direttore della fotografia Kaminski, indispensabile dai tempi di Schindler’s List, conferisce l’adeguata atmosfera plumbea e impreziosisce le diverse parentesi horror, che non dovrebbero coinvolgere solo i teenagers.

Sax Marmotta