
La petite Lili
- Claude Miller
- Bernard Giraudeau, Jean-Pierre Marielle, Ludivine Sagnier, Nicole Garcia
- Drammatico, Sentimentale
- Canada, Francia
- 27 August 2003
Trama
Riunione di famiglia all’Esperance, grande villa sita su un’isola francese. La sprezzante attrice Mado vi trascorre un periodo di riposo insieme a Brice, suo compagno attuale e cineasta di fama.
Costui è mal visto dal tormentato Julien, figlio della donna e aspirante regista a sua volta, attualmente affiancato dalla conturbante Lili, già protagonista di un suo cervellotico cortometraggio.
Completano il quadro il borbottante Simon, fratello maggiore di Mado, il medico Serge, che ha una tresca con Léone, moglie del robusto Guy, e la discreta Jeanne-Marie, segretamente innamorata dell’incurante Julien.
Le tensioni interpersonali, soprattutto tra la diva e il suo rampollo con incomprese velleità artistiche, sono sempre sul punto di esplodere, tanto più che l’ambiziosa Lili non si pone problemi a tentare di sedurre Brice.
Cinque anni dopo… .
Recensione
Ammettiamolo: l’ultimo film di Miller (L’effrontée, La piccola ladra, L’accompagnatrice, Il sorriso), discepolo dichiarato di Truffaut (ma qui, al di là delle apparenze, Effetto notte non c’entra nulla) ormai trascurato –a torto– dalla nostra distribuzione, non è propriamente facile da decifrare, nonostante si tratti di una rilettura cechoviana.
C’è il gioco delle parti, con un grande Marielle (il migliore in campo, a differenza degli altri perfettamente doppiato dall’esperto Sergio Fiorentini) sostituito, nella finzione all’interno della storia, da Michel Piccoli, c’è l’esaltazione/sfottò dell’autobiografismo a tutti i costi, c’è una sottile e vicendevole sovrapposizione, appositamente sfociante in confusione, tra realtà e set, sfondo ideale per una situazione di conflitti famigliari, rivalità, gelosie (in un luogo che allude, o illude, alla “speranza”)… E c’è un’indubbia impronta d’autore tendente alla presunzione (come quella di Julien/Stévenin, suo malgrado morbosamente attaccato, in un potenziale rapporto edipico, all’insopportabile genitrice Mado/Garcia, che nella realtà fa anche la regista), con cui forse si vorrebbero pure raccontare le malattie dell’industria cinematografica (francese?).
La sensuale Sagnier, per una volta lontana dal suo pigmalione Ozon, nella sequenza finale assai somigliante a una giovane Eleonora Giorgi, occupa il “ruolo” dell’ispirazione.