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Recensione

Le aspettative erano alte, di conseguenza il risultato non può che deludere. Dalla trasposizione del best seller di Paolo Giordano, minuzioso nelle descrizioni, negli approfondimenti psicologici, negli sviluppi drammaturgici, era lecito attendersi un film sì mortificato nei tempi (è sempre così, ed è perfino necessario), ma che almeno selezionasse delle parti salienti del congruo materiale a disposizione, senza lasciare tante parentesi aperte.

Invece, al di là dell’abitudine ormai conclamata di cassare perlopiù i capitoli conclusivi dei recenti romanzi italiani (come se durante il lavoro di adattamento ci si accorgesse improvvisamente che la scadenza per consegnare il copione incombe), l’opera rosicchia i contenuti della pagina scritta, butta a casaccio il fondamentale e permeante concetto dei numeri primi, spreca il dolore dei personaggi, palesato dall’anoressia di Alice e dall’autolesionismo di Mattia (i protagonisti, conosciutisi adolescenti e strettisi in un’amicizia indissolubile per affinità elettiva), per dissipare le emozioni in una narrazione che mostra parallelamente (a differenza del libro) gli eventi del 1984, del 1991 e del 2001 (con finale nel 2008).

Espediente che grosso modo funziona, ma non manca di indebolire l’introspezione. Spiace anzitutto per il giovane autore letterario, che ha consciamente partecipato alla stesura della sceneggiatura con il regista Costanzo, e poi per quest’ultimo, dimostratosi attento nell’ambientare le sue precedenti fatiche, In memoria di me e soprattutto l’esordio Private.

Specificato quanto sopra, restano le mimetiche interpretazioni di Rohrwacher e Marinelli, nonché, in piccolo, degli attori che li interpretano da bambini e da ragazzi, e l’inquietante cameo – inventato di sana pianta – di Filippo Timi, pagliaccio degno di un horror, in grado di segnare un’infanzia.

Max Marmotta