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Recensione

Dopo numerosi trascorsi per il piccolo schermo, Richard J. Lewis approda al cinema dirigendo questo valido adattamento del romanzo di Mordecai Richler. Tono prevalente da commedia (non esente da un generale senso di ineluttabilità e di disfacimento), il film è caratterizzato dagli andirivieni temporali, ottimamente impiegati per illustrare la storia di Barney, produttore televisivo beone di Montréal che può vantare, oltre a un padre spiccio poliziotto ebreo, una gioventù fin troppo bohémienne in quel di Roma, con tanto di breve matrimonio (il primo di tre).

L’indolenza e la testardaggine che lo accompagnano lo rendono alquanto umano agli occhi dello spettatore, e aiutano a comprenderne la fallibilità, non sempre scusabile.

Grazie a una sceneggiatura (redatta da Michael Konyves) intessuta di sottili rimandi e a degli attori in gran forma (probabilmente è l’occasione che Paul Giamatti aspettava da tempo, ma risaltano soprattutto il genitore sornione Dustin Hoffman – nel cast c’è pure suo figlio Jake nel ruolo del nipote – e l’adorabile Miriam di Rosamund Pike), il racconto scorre piacevolmente sull’onda del ricordo seriamente scalfito dai sensi di colpa (il motore della narrazione è un libro scritto da un detective opportunista che rischia di infamare il protagonista, dal cui desiderio di auto-scagionarsi discende il titolo).

In effetti il meccanismo è più complesso di quanto sembri e contribuisce a emozionare nell’amaro risvolto conclusivo.

Ancora un dovuto cenno al variegato stuolo di interpreti: oltre alle partecipazioni dei televisivi Clé Bennett e Maury Chaykin (recentemente scomparso) e a quelle, notevoli, degli italiani Thomas Trabacchi e Massimo Wertmüller, si segnalano le spiritose apparizioni di alcuni registi famosi, rigorosamente canadesi: Atom Egoyan, David Cronenberg, Denys Arcand, Ted Kotcheff.

Max Marmotta