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Recensione

Sovente (non sempre) il passaggio d’un prestigioso autore orientale su un set occidentale produce un cortocircuito stilistico e/o contenutistico disordinato, e si potrebbero citare esempi illustri come Chen Kaige o Hideo Nakata.

Per questo la trasferta europea – con tanto di dive locali/internazionali e dialoghi pure in inglese (meglio reperire una proiezione in lingua originale) – del maestro Hirokazu Kore-eda, dedito a delicate tematiche familiari in drammi non privi d’ironia (da Father and Son a Un affare di famiglia) destava non poche preoccupazioni.

È andata più che bene: l’autore, con un occhio alla nazione ospite, mantiene il proprio spirito nella vicenda riguardante una sottilmente frustrata sceneggiatrice (Binoche) che torna dagli USA in Francia con marito (Hawke) e curiosa figlioletta (Grenier, una promessa), che in pratica veicola la narrazione, in occasione della pubblicazione della probabilmente mendace autobiografia della madre (Deneuve), venerata attrice che sta per partecipare a un metaforico – anche per lei – film di fantascienza.

Realtà e finzione si accapigliano fino a diventare indistinguibili, in maniera simile eppur diversissima da quel che avviene nel contemporaneo C’era una volta a… Hollywood.

Bugie, recitazione, ridefinizioni, perfino incantesimi connotano un rapporto (an)affettivo conflittuale (e diffuso, malgrado il jet set circostante) in cui le figure maschili sono affabilmente marginalizzate.

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Max Marmotta