
Lontano dal paradiso – Far from Heaven
- Todd Haynes
- Dennis Haysbert, Dennis Quaid, Julianne Moore, Patricia Clarkson
- Drammatico, Sentimentale
- Stati Uniti
- 2 September 2002
Trama
Hartford, Connecticut, alla fine del 1957. Cathy Whitaker conduce un’esistenza serena: sposata con Frank, quadro della Magnatech, importante fabbrica di televisori, divide con lui e con i figlioletti David e Janice una splendida villetta residenziale.
Una sera il marito viene fermato dalla polizia in stato di ebbrezza: per l’uomo è l’inizio di una serie di inspiegabili comportamenti.
Disorientata, Cathy stringe amicizia con il saggio e pacato Raymond Deagan, giardiniere di colore. Per il vicinato finto-perbenista la faccenda è motivo di scandalo.
Recensione
Dopo lo psichedelico Velvet Goldmine, Todd Haynes realizza un lavoro formalmente straordinario: i superbi costumi di Sandy Powell, i meravigliosi arredi e scene di Mark Friedberg, l’accuratissimo make-up (con puntuali acconciature) di Eva Polywka e soprattutto la strepitosa fotografia di Ed Lachman (recente coautore con Larry Clark di Ken Park), impegnato a riprodurre i toni innaturali e contrastanti del technicolor, contribuiscono all’alta resa della pellicola, per di più impreziosita dalla sceneggiatura, scritta dallo stesso cineasta con un occhio a Lo specchio della vita e Secondo amore, entrambi melodrammi di Douglas Sirk, e dalla favolosa interpretazione di Julianne Moore (già con il regista in Safe), caramellosa quanto vibrante, non per niente premiata a Venezia.
Dennis Quaid è appropriatamente sottotono e Patricia Clarkson (La promessa, La sicurezza degli oggetti, qui l’amica Eleonor) risulta verosimilmente acidula, mentre l’imponente Dennis Haysbert ritorna in una vicenda d’epoca di razzismo quiescente esattamente come nel film che lo lanciò, Due sconosciuti, un destino.
Steven Soderbergh e George Clooney hanno prodotto un’opera fuori dal comune, che si propone di ricreare atmosfere ed emozioni ormai svanite (spingendosi solo un po’ più in là di quel che i tempi puritani consentivano) per evocare tabù tutto sommato ancora presenti, ipocritamente tollerati da una borghesia che si crede caritatevole ma non lo è (la protagonista in testa, e se ne accorgerà a sue spese).
Un gusto da ritrovare, come ricordano anche le musiche originali di Elmer Bernstein.