
Lost in Translation – L’amore tradotto
- Sofia Coppola
- Anna Faris, Bill Murray, Giovanni Ribisi, Scarlett Johansson
- Amazon Prime, Commedia, Cult Movie, Drammatico, Netflix, Sentimentale
- Giappone, Stati Uniti
- 18 September 2003
Trama
Il maturo attore Bob Harris si trova a Tokyo per qualche giorno: gira una serie di spot per il liquore giapponese Suntory.
Nel suo stesso albergo alloggia, altrettanto annoiata, Charlotte, giovane moglie dell’indaffaratissimo fotografo John.
Fiutando il reciproco spaesamento nel bar dell’hotel e spossati dall’insonnia, causata dal fuso orario e dalla malinconia (l’uno non riesce più a comunicare con i figli e la moglie Lydia, sposata venticinque anni prima, l’altra non trova conforto neppure nelle chiacchierate per telefono), i due, che hanno anche fatto la conoscenza dell’attricetta Kelly, sul luogo per promuovere il suo film Midnight Velocity, cominciano timidamente a frequentarsi.
Una sera escono con gli amici locali di Charlotte, un giorno si recano in ospedale per una medicazione, una notte parlano a lungo… .
Recensione
Dopo Il giardino delle vergini suicide (dove la voce narrante era affidata a Giovanni Ribisi, qui John), Sofia Coppola prende ancor più le distanze dal glorioso cinema di papà Francis Ford (che figura in qualità di produttore esecutivo), confezionando una sceneggiatura incentrata sull’abisso culturale che separa il Sol Levante dagli USA (o dal resto del mondo?), nonché sulla solitudine.
Di conseguenza, l’incomunicabilità non dipende esclusivamente dalla lingua, c’entrano le persone.
Per approfondire il concetto, l’autrice mette in scena traduzioni parziali e lunghe spiegazioni che alle orecchie dei protagonisti (le cui età diverse costituiscono ulteriore fonte di possibili incomprensioni) rimangono lettera morta, come se gli oratori orientali (il regista, il medico) volessero preservare il significato intimo delle loro parole, dei loro segreti tecnologici o scientifici.
Bob e Charlotte vivono il loro incontro come una boccata d’ossigeno, un’opportunità –finalmente!– di aprirsi, di raccontarsi, di chiedere aiuto.
Un’opera raffinata (che omaggia perfino La dolce vita in una sequenza), magari accolta fin troppo bene (a sentire critica e trailer sarebbe una pellicola per tutti i gusti, e non è così), interpretata da una Johansson in crescita (già con L’uomo che non c’era e Ghost World ha dimostrato di scegliere bene i copioni) e un Murray (lo si vede giovane in un estratto del “Saturday Night Live”) che può adesso dimostrare quanto vale anche su un versante più serio.
Resta solo una perplessità: in mezzo a tanti stereotipi, che ne penseranno i giapponesi (che pure co-producono)? .