
Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera
- Kim Ki-duk
- Jong-ho Kim, Ki-duk Kim, Yeong-su Oh, Young-min Kim
- Drammatico
- Corea del Sud, Germania
- 19 September 2003
Trama
Su una zattera al centro di un lago è edificato un piccolo tempio ligneo. Lì vivono un monaco maturo e il suo giovanissimo discepolo; una barca è il mezzo per raggiungere, di tanto in tanto, la terraferma.
Durante un’escursione, in primavera, il bambino si diverte a legare dei sassi alla coda di un pesciolino, sulla schiena di una ranocchia, all’estremità di una serpe.
L’adulto, che ha osservato di nascosto, redarguisce l’adepto e lo obbliga a riparare. In estate l’asceta è entrato nella fase puberale, e lo turba alquanto la presenza di una bella coetanea ammalata condotta sulla piattaforma galleggiante dalla madre per curarsi tramite la preghiera.
L’attrazione tra i due giovani conduce a un cambiamento inesorabile. In autunno l’ex-allievo, abbrutito e macchiatosi di omicidio, torna dal maestro. L’espiazione non gli evita di essere raggiunto dai detective Ji e Choi. Quando lo specchio d’acqua è ghiacciato, in inverno, il mancato eremita, ormai uomo, si reca ancora nel luogo in cui crebbe, e accoglie la creatura portata in grembo da una misteriosa donna.
Recensione
Nella durata di un film il trascorrere di un anno, di una vita, forse dell’intera storia di un mondo che perde e tenta di ritrovare i propri valori (con l’eden dell’alba dei tempi, il peccato originale, le guerre, le glaciazioni): la prima pellicola ad essere distribuita in Italia dell’acclamato frequentatore di festival Kim Ki-duk, cineasta per caso e montatore (il suo lavoro più famoso, L’isola, non ha mai raggiunto le nostre sale), nonché esordio del regista in veste di attore (è il monaco d’inverno), è di una bellezza estrema, di una poesia fascinosa, profonda e fruibile da tutti malgrado la scarsità dei dialoghi (nell’ultima stagione e nell’epilogo non si dice una parola), dove perfino il sentimento religioso (non importa se buddista o di altra fede) è proposto in maniera cristallina e non dogmatica.
Quando la fine è vicina (sintomatica la figura della madre senza volto) bisogna trasmettere esperienze ed errori al prossimo, magari usando l’accortezza di farsi vegliare da una guida onnipotente.
Anche perché la tendenza a nuocere alberga nel corrotto animo umano. Da notare l’uso “didattico” degli animali, parte integrante della natura (oltre la tartaruga, ci sono il reiterato cane, il gallo, il gatto e il serpente a simboleggiare le quattro fasi del racconto) nonché veicolo di metempsicosi.
Lo stupendo contesto non solo scenografico (da accettare in blocco) prevede un eremo galleggiante e immobile, porte a mo’ di sipario dei vari “atti” o “accessorie” dentro il tempio e un testo sacro riportato in modo perlomeno originale.