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Recensione

Non c’è dubbio, buona parte del fascino del nuovo lavoro di Woody Allen, più un cupo dramma che il thriller promesso dalla pubblicità, è debitore del successo di Match Point, che il regista realizzò spiazzando critica e pubblico (pur mantenendo i dettami del suo cinema, tra personaggi e dialoghi) un paio d’anni fa.

Forse stavolta l’impianto è più semplice, ma non mancano i preziosismi di regia e l’efficacia delle interpretazioni, compresa quella di Colin Farrell nella sua quasi totalità.

Due fratelli londinesi, il meccanico con il vizio del gioco Terry (Farrell), fidanzato con l’ottimista Kate (Sally Hawkins), e l’ambizioso Ian (Ewan McGregor), provvisoriamente impiegato nel ristorante del padre, messo su faticosamente, e invaghito dell’altezzosa attrice teatrale Angela (la magnetica Hayley Atwell), s’inguaiano a causa di una pesante perdita subita dal primo.

Cercano conforto presso lo zio riccastro Howard (un sublime Tom Wilkinson), ammirato da entrambi e sempre pronto a tendere la mano alla bisognosa famiglia.

Ma questi in cambio pretende l’impensabile… Allen ci mostra sagacemente le batoste al tavolo verde di Terry, mai le sue rimonte e neppure l’insostenibile disfatta, e immerge la concertazione del delitto e lo stesso agguato tra le fronde: un pudore nei riguardi della fragilità e della nequizia umana (ben rappresentata da Ian e dal suo orientamento al comando) che amplifica l’effetto di disagio in chi assiste a questa inarrestabile discesa agli inferi, dettata senz’altro dall’anelito a una vita migliore ma anche dagli abbagli di una rapida ascesa sociale.

Una subdola prospettiva da cui nessuno è immune, dalle girl-friends agli apparentemente sensati genitori, che a volte instillano nei loro eredi scale di valori sbagliate.

Max Marmotta