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Recensione

Di sicuro non era necessario. In un’epoca contraddistinta dalla crisi di idee, dall’incapacità di elaborare nuove formule o riciclare con piglio moderno quelle usurate, non viene spontaneo approvare a priori il costosissimo quarto capitolo (capofila di un ulteriore trittico, si dice) di una saga che poteva già chiudersi al secondo (perfino al mitico primo, per la verità), senza, per giunta, il protagonista originale (non fatevi ingannare dall’apparizione virtuale del troppo giovanile governatore Arnold Schwarzenegger), con un’ambientazione definitivamente avveniristica (siamo nel 2018), dove l’ormai arcinoto John Connor (interpretato stavolta, con scrupolo e irascibilità, da Bale) guida fra ostacoli e perdite umane la ribellione alle inarrestabili e micidiali macchine create da Skynet, aiutato pure da un ambiguo cyborg, Marcus (Worthington) – l’elemento davvero significativo dell’intero film – e intenzionato a proteggere il suo futuro e ancor imberbe (e ignaro) padre, Kyle Reese (Yelchin).

Eppure, il regista esperto di videoclip McG (al secolo Joseph McGinty Nichol) – se pensiamo alle due chiassose incursioni sul grande schermo delle Charlie’s Angels, non la scelta più ovvia per continuare la serie – raggiunge lo scopo di non debordare in tediosi ragionamenti e di dotare l’azione, oltre che di esplicite citazioni dei precedenti episodi, di qualche furberia: trucchetti, spiazzamenti, trompe l’œil sono sempre piacevoli per le platee.

Tutto sommato, si segue il solito adagio della minaccia costituita dall’eccessivo sviluppo della tecnologia, avviata verso una pericolosissima autonomia (Kubrick fu già esaustivo sull’argomento), ma se proprio non si poteva evitare un altro (o degli altri) Terminator, tanto vale considerare che “repetita iuvant”; purché con verso e misura.

Cameo per la caratterista di lusso Jane Alexander.

Max Marmotta