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Trama

Sono tre gli eventi traumatici, rimembrati confusamente, che hanno segnato l’infanzia e l’adolescenza di Evan Treborn (il cui padre Jason soffriva di turbe mentali): un pomeriggio a casa dei vicini Miller, quando il pervertito capofamiglia George decise di riprendere il bambino e i suoi due figli Tommy e Kayleigh con la nuova videocamera; uno scherzo tremendo con la dinamite, organizzato dagli stessi tre amici, nel frattempo cresciuti, con la complicità del goffo coetaneo Lenny; la crudele uccisione del suo cane da parte dell’invidioso Tommy.

Evan adesso va al college e divide la stanza con l’obeso punk Thumper; gelosamente custoditi tiene alcuni diari che la madre Andrea e il dr. Redfield, che lo aveva in cura, gli hanno suggerito di redigere per combattere i vuoti di memoria da cui è affetto.

Casualmente il giovane scopre che rileggendo le pagine scritte tanti anni prima, può rivivere e addirittura porre rimedio alle sue disavventure, con inevitabili ripercussioni sul presente.

Oltre al doloroso accumulo di nuovi ricordi… .

Recensione

Di particolari insoluti e incongruenze ce ne sono a bizzeffe: come è uscito Evan da casa Miller? perché l’unica traccia degli spostamenti temporali è quel coltello in mano? è possibile che i diari contengano proprio i vuoti di memoria (dato che, oltretutto, nessuno si preoccupa di raccontare l’accaduto al protagonista)? cosa determina il ritorno al presente? a che servono i ricordi in più se lo spaesamento persiste? Si potrebbe continuare ad oltranza, perfino su difetti di altro genere (è raro incontrare qualcuno che mantenga lo stesso infantile taglio di capelli per tredici anni), ma tutto sommato fa parte del gioco.

Gli autori, già responsabili dello script del secondo Final Destination (e si vede), disseminano di proposito alcuni dettagli sottilmente ridicoli, quasi per prendere le distanze dalla credibilità di un impianto senza dubbio intrigante (in pratica un Ritorno al futuro in acido), tuttavia inesorabilmente soggetto alla (consapevole?) contraddizione spontanea (poiché non tutto è riparabile, pure in sede di scrittura).

Ashton Kutcher, futuro signor Demi Moore, produce con intuito anche stavolta e nuovamente non si dimostra all’altezza del suo ruolo.

Il titolo si riferisce al detto secondo il quale un battito d’ali di farfalla è in grado di scatenare un uragano all’altro capo del mondo.

Max Marmotta