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Trama

Parigi, 1968. Matthew è un giovanotto americano appassionato di cinema, recatosi nella capitale francese per motivi di studio.

Presso la Cinémathèque, da lui molto frequentata, conosce, in un periodo di contestazione, la vivace Isabelle e suo fratello gemello Théo.

In breve tempo, abbandona l’albergo in cui risiede per accettare l’invito dei due a trasferirsi da loro, in assenza dei genitori (una signora inglese e un poeta).

La convivenza è all’insegna del divertimento, tra un quesito di cinema e una mattana. Ben presto, però, Matthew si accorge del rapporto morboso che lega Théo alla sorella, e finisce pure invischiato in alcuni giochi erotici.

Il terzetto non esce dall’appartamento per un bel po’, finché lo straniero non prova a scuotere questa passività e l’incapacità di crescere di Isabelle.

Recensione

Il periodo dei moti studenteschi, quando il cinema era più che mai una valvola di sfogo (numerosissimi i capolavori citati, da Mouchette a Venere bionda) e un mezzo di apprendimento, la cacciata del direttore Henri Langlois dalla Cinémathèque, la liberazione sessuale: Bertolucci c’era, serba un bellissimo ricordo di quell’epoca e, più che farcene partecipi, vuole confezionare un album che possano sfogliare le nuove generazioni, che trasporti lo spettatore, faccia rivivere e/o capire.

Così, accanto ai coevi Easy Rider o Zabriskie Point, che nacquero dentro gli anni del cambiamento e ne costituiscono un’irripetibile testimonianza, ci sono i film di “riproduzione” come questo o Milou a maggio, nel quale però Louis Malle preferiva privilegiare, con apparente moderazione, aspetti diversi.

Una dichiarazione d’amore alla settima arte connotata da uno stile magistrale, da un erotismo progressivo e da ragionamenti stimolanti che lo sceneggiatore Gilbert Adair ha estrapolato dal proprio romanzo.

Théo (Louis Garrel, doppiato da Edoardo Ponti) e Isabelle (Eva Green) non incanalano il loro senso di ribellione, che si involve e può condurre alla morte; Matthew (Michael Pitt, Formula per un delitto), al contrario, saprebbe come protestare anche in forma non violenta, e il suo costantemente mancato allineamento agli altri due è certamente uno dei motori della vicenda.

Non è la promiscuità dei personaggi da guardare con sospetto, ma il rischio di una morbosità senza sbocchi.

In quanto ai genitori dei gemelli (Robin Renucci e Anna Chancellor), il loro inaspettato gesto li pone probabilmente fuori dalla cerchia di tanta borghesia in circolazione in quel momento storico.

Max Marmotta