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Recensione

Agghiacciante e antispettacolare. Così si può sintetizzare la nuova prova di Paul Greengrass, a cinque anni da Bloody Sunday, docu-fiction che raccontava il massacro di Londonderry del 1972.

Sempre fedele a uno stile nervoso, con numerose riprese a spalla, con un montaggio frenetico e senza alcuna nota musicale a commento delle immagini, il regista opta esclusivamente per gli interni e si avvale inoltre della asciutta fotografia di Barry Ackroyd, collaboratore di Ken Loach, per affrontare una delle pagine più cupe della storia recente.

La vicenda umana e tragica dei passeggeri e dell’equipaggio del volo United 93, dirottato da quattro membri di Al-Qaeda l’11 settembre 2001 per farlo schiantare sulla Casa Bianca.

Come tutti sanno, si tratta dell’unico dei quattro aeromobili sequestrati quel giorno a non raggiungere l’obiettivo.

Minacciati da coltelli e da una bomba finta, i viaggiatori comprendono in pochi concitati minuti che i terroristi sono votati a una missione suicida e decidono eroicamente di ribellarsi per riprendere il controllo dell’apparecchio, il quale però precipita a Shanksville in Pennsylvania, due ore dopo l’inizio dell’attacco al World Trade Center.

L’autore ricostruisce i fatti basandosi sulle drammatiche telefonate dei passeggeri a familiari e amici, sceglie intelligentemente di non inserire alcuna star nel cast, per concentrare l’attenzione del pubblico sulla veridicità dei caratteri, nonché di delineare l’intera vicenda quasi in tempo reale, in appena un’ora e mezza, dall’imbarco allo schianto al suolo, se trascuriamo la breve introduzione sui sequestratori.

Il tutto senza dimenticare un elemento esterno dinamizzante, focalizzato nelle diverse sequenze ambientate nelle basi militari e nei centri per il controllo del traffico aereo (alle quali partecipano gli autentici graduati, dirigenti e impiegati che erano in servizio l’11 settembre), dove si lotta con il caos e la disinformazione e, ancora una volta come in Bloody Sunday, ci si scontra con un’autorità superiore colpevolmente defilata.

E il risultato definitivo è una pellicola sobria che onora la memoria delle vittime senza l’ombra di retorica, pur non trattandosi di un capolavoro.

Sax Marmotta