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Recensione

Segnalatosi con l’interessante Narc, colpevolmente inedito nelle nostre sale e comunque conosciuto dai frequentatori di videostores, Joe Carnahan era addirittura in predicato per dirigere Mission: Impossibile III, incarico successivamente rilevato (purtroppo…) da J.J. Abrams. Ovvio che in molti lo aspettassero al varco di questo sua seguente opera, che può persino sbalordire per lo stile frenetico e a tratti (eccessivamente) psichedelico, ma che forse, dietro alla cortina fumogena, riserva pochino.

La sceneggiatura , una volta di più dello stesso regista, prende le mosse dal programma di protezione approntato per il prestigiatore Buddy “Aces” Israel, attivo a Las Vegas e (per questo?) strettamente legato alla mafia, deciso a testimoniare contro un boss e quindi seriamente in pericolo.

A stargli addosso non sono soltanto i federali che vogliono salvargli la pellaccia, ma anche un nugolo di killer professionisti di diversa provenienza (c’è addirittura una banda di neonazisti, i più inutili e sopra le righe del plot) ai quali fa gola la taglia sulla sua testa.

Non mancano scene elegantemente esagitate, e nemmeno i colpi di scena. Però rimane forte la sensazione di accumulo un po’ sragionato (giusto in qualche passaggio) che fa calare prepotentemente la qualità di un divertissement che poteva dare, pur allo scopo di intrattenere, ben altri risultati.

Il cast, comunque, è di prim’ordine (Reynolds funziona meglio che nelle commedie, Garcia è preferibile in questo tipo di ruoli “torbidi”, Liotta conferma le sue doti spesso nascoste, la cantante Keys è una gradevolissima sorpresa), ed è probabilmente l’occasione del caratterista Jeremy Piven (Cose molto cattive, Phoenix) per uscire dall’anonimato.

Peccato che sia proprio il suo personaggio (l’“Aces” del polivalente titolo) a sfoggiare il maggior numero di sbavature.

Max Marmotta