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Trama

New York, 1876. In procinto di annunciare il proprio forzato fidanzamento, Leopold, squattrinato e acuto duca di Albany, nota un tipo misterioso.

Lo insegue ed insieme si ritrovano nella metropoli odierna. Stuart, il fuggiasco, altri non è che uno studioso di viaggi spazio-temporali: la sua teoria sui “ponti” che collegano epoche lontanissime si è rivelata esatta, però non aveva previsto di trascinare con sé il nobile “visitatore”.

Lo spaesato Leopold deve rimanere nascosto a casa dello scienziato per una settimana (il tempo che si crei un’altra “falla” che conduce al passato), ma si abitua in fretta.

Oltretutto, è incuriosito e attratto dall’indaffaratissima pubblicitaria Kate, che abita al piano di sotto ed è l’ex di Stuart.

Recensione

Meg Ryan perde colpi. L’eroina di tante commedie romantiche sembra non avere più niente da aggiungere ai suoi personaggi, anche se a volte, come in questo caso, li rende più cinici o pragmatici.

Per fortuna, in suo soccorso arrivano James Mangold e Hugh Jackman, il primo cineasta eclettico (Dolly’s Restaurant, Cop Land, Ragazze interrotte, qui nella parte, ovviamente, del regista di uno spot) in grado di impacchettare una storia improbabile e renderla piacevole, il secondo attore australiano capace di calarsi con ironia nei panni di un gentiluomo impeccabile e illuminato (e qualcosa di vero nei suoi progetti raffiguranti un prototipo di ascensore c’è, come specifica una didascalia nei titoli di coda): quando manca lui il film, inevitabilmente approssimativo in qualche punto, arranca.

Ma forse è un modo come un altro per descrivere la noia che serpeggia nel presente. Un po’ accessorio Breckin Meyer (Charlie, fratello aspirante attore di Kate), più che idoneo Philip Bosco (il maggiordomo Otis).

Max Marmotta