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Recensione

Come già accaduto a loro tempo con Jim Carrey e il suo fido regista Tom Shadyac o con Adam Sandler e il suo amico (uno dei tanti) Frank Coraci, giusto per fare dei nomi, si accoglie sempre con una certa curiosità l’ingresso sugli schermi italiani di un nuovo comico che è già un fenomeno da botteghino oltreoceano, diretto per giunta da un altrettanto illustre sconosciuto.

Con 40 anni vergine Steve Carell (era lo zio matto di Samantha nel fiacco adattamento cinematografico di Vita da strega) e Judd Apatow, pure autori della sceneggiatura, hanno fatto subito centro negli Stati Uniti, riportando un lusinghiero successo di pubblico.

Peccato che da noi, probabilmente anche a causa di una fisiologica perdita di effetti divertenti nel passaggio di codici e di culture (leggi: doppiaggio), l’intera pellicola, peraltro troppo lunga (quasi due ore è una durata improponibile per un film imperniato sulle gags), risulti oltremodo stiracchiata, slegata, incapace di approfondire con coerenza i numerosi personaggi secondari (i colleghi di lavoro insistenti e impiccioni dell’infantile Andy, quarantenne illibato per scelta, pigrizia, interessi diversi come le collezioni di pupazzi; la sua simpatica, e “spontanea”, fiamma Trish; le ragazze incontrate occasionalmente) e in grado di tirare via perfino le scene potenzialmente più spassose (si pensi alla penosa – in tutti i sensi – seduta di ceretta).

Che Carell sia bravo lo si intuisce piuttosto facilmente, grazie al candore che infonde al suo ruolo o al desiderio di omaggiare, in maniera volutamente goffa, il musical Hair nella scena finale, ma le vere commedie, quelle prodighe di risate, magari con un significato intrinseco che vada al di là di quanto si può già ampiamente intuire dal titolo, abitano altrove.

Max Marmotta