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Trama

Roma, XIX secolo. Sfuggito alla reclusione in Castel Sant’Angelo, Cesare Angelotti cerca di nascondersi nella chiesa di Sant’Andrea, ove il suo amico pittore Mario Cavaradossi sta lavorando a un ritratto femminile.

L’artista offre il suo aiuto all’evaso, braccato dal barone Scarpia, funzionario di polizia. Quest’ultimo sfrutta la gelosia della donna del pittore, Tosca, della quale è infatuato, per carpirle informazioni.

Mario viene arrestato e condannato alla fucilazione; l’infido Scarpia baratta con Tosca la liberazione del morituro.

Recensione

Dopo Sade, Bénoît Jacquot affronta un altro film difficile, non foss’altro per la rarità del genere (di film-opera, interamente cantati, non se ne vedono tanti; tra i più recenti, Otello di Zeffirelli e Madama Butterfly di Mitterrand).

Il risultato è sontuoso nella messinscena, perfettamente supportata da una fotografia che esalta le profondità inghiottite dal buio.

Il regista aggiunge alla trama, rimasta intatta finanche nella sua suddivisione in atti, dei tocchi personali, tipo le parti “pensate” dai protagonisti e l’intercalare della registrazione in studio del playback, in bianco e nero e con i protagonisti in abiti “borghesi” (il direttore d’orchestra, però, è un po’ ridicolo).

Certo, come a teatro, è sempre consigliabile conoscere la vicenda da prima (qualche scambio inevitabilmente si perde).

Raimondi (Don Giovanni, qui Scarpia) è eccellente, ma anche i coniugi Gheorghiu-Alagna non se la cavano male.

Insomma, se si è ben disposti, le due ore di proiezione, più o meno, fuggono e non c’è da morire disperati.

Anzi.

Max Marmotta