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Trama

Nafas, giornalista e scrittrice di origine afghana ma residente in Canada, torna nella sua terra dopo molti anni per incontrare la sorella che ha deciso di suicidarsi alla prossima eclissi di sole.

Durante il suo lungo viaggio, pieno di complicazioni, difficoltà e incontri piacevoli e non, Nafas ritrova la realtà da cui era fuggita da bambina: un mondo fortemente arretrato, dove le donne si trovano costrette a rinunciare all’istruzione e a seguire, come gli stessi uomini, rigide regole comportamentali, dove non si contano le mutilazioni causate da mine antiuomo e dove è possibile affermarsi solo diventando un talebano.

Recensione

Viaggio a Kandahar è un documento attendibile, quasi diviso in capitoli, sulla condizione del popolo afghano.

Makhmalbaf (universalmente riconosciuto come il più grande regista iraniano vivente) sceglie di non calcare troppo la mano sugli orrori della teocrazia talebana per non allontanarsi dai suoi intenti principali: descrivere la miseria, parente stretta dell’ignoranza e causa del totale degrado dell’uomo, che diventa ladro, truffatore o bugiardo, ma anche comunicare la speranza; proprio questa è la forza che anima Nafas (Niloufar Pazira) nel suo difficile viaggio e nel tentativo di restituire alla sorella il desiderio di vivere, che non fa desistere il dottor (Tabib) Sahid (Hassan Tantai) dalla sua ricerca di Dio, che non rallenta la tragica corsa dei mutilati verso le protesi paracadutate dalla Croce Rossa e che non limita il numero di adesioni al vero/finto e coloratissimo corteo nuziale diretto a Kandahar.

Chi ha osato parlare dell’Islam come di una religione violenta che, predicando la Guerra Santa, si è affermata con la spada, resterà impressionato dalle parole misericordiose di un patriarca derubato, insieme alla sua numerosa famiglia, di tutto ciò che possiede.

Un film povero di mezzi ma non di contenuti, capace di imporre riflessioni e discussioni che prescindono dai tragici e recenti eventi.

Sax Marmotta