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Recensione

Di film “rosei” il cinema italiano ultimamente ne sforna anche troppi, poggiando sulle consolidate capacità di attrici come Cortellesi e Angiolini, di attori come Bisio e De Luigi (perfino Bova, ormai), di registi come Brizzi e Genovese.

Il motivo di tanta abnegazione al genere è da ricercare in incassi alquanto garantiti (non sempre) che hanno fatto impigrire più del solito i produttori, in generale poco propensi alla ricerca di formule innovative.

A ciò aggiungiamo che la qualità della scrittura delle commedie in questione si è abbastanza “raffinata”, nel senso che è più facile riscontrare al loro interno sguardi critici, filtrati dall’ironia, su crisi economiche, politiche, di valori che permeano la società odierna; dunque raramente ci si imbatte in una superficialità irrecuperabile.

Bene così, allora? Dipende. Per esempio, questo debutto dietro la macchina da presa di Edoardo Falcone, già sodale in sede di sceneggiatura di Massimiliano Bruno (Nessuno mi può giudicare, Confusi e felici), intanto ha i numeri per piacere al grande pubblico: una sostanziale leggerezza e due interpreti popolari (il contenuto Giallini e un Gassmann particolarmente memore delle performance paterne) nelle parti principali, ovvero il cardiochirurgo ateo e progressista Tommaso, contrariato dall’imprevista vocazione sacerdotale del figlio (l’idoneo Enrico Oetiker), e don Pietro, prete moderno dal fisico asciutto e dal passato difficile, che ha ispirato il ragazzo.

Seguendo l’impulso della propria implosa avversione nei confronti della scelta filiale, il medico scova (con troppa facilità, a dirla tutta) delle ombre nel passato del simpatico predicatore, e da quel momento la sua goffa missione è screditarlo.

Certo, tra un sorriso e una ridacchiata è difficile non accorgersi dell’insufficiente incisività di qualche elemento: i sermoni che tanto piacciono ai giovani non sembrano niente di speciale (bastasse così poco…), mentre alcune scene scorrono meno agilmente di altre.

Eppure, il copione possiede i rimandi giusti per condurre a un finale equilibrato, quasi mesto, riflessivo, non stucchevole.

Max Marmotta