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Trama

Laure Ash è una ladra professionista che, con l’ausilio di due complici, riesce ad introdursi come fotografa durante una delle prime del festival di Cannes.

Lo scopo è rubare un prezioso gioiello che orna il corpo della modella-attrice Veronica. Qualcosa però va storto, costringendo Laure a scappare. Vittima di un incidente, viene scambiata da una matura coppia parigina per la loro parente Lily, reduce da un lutto.

Appropriatasi della sua identità, ripara negli Stati Uniti dove sposa il diplomatico Bruce Hewitt Watts.

Dopo sette anni, la brillante carriera politica del marito la costringe a tornare nella capitale transalpina, dove l’aspettano al varco i due ex-colleghi e un tenace paparazzo spagnolo, Nicolas Bardo, autore di un compromettente scatto.

Recensione

Nuovo accattivante capitolo della lunga storia d’amore tra la macchina da presa e un autore di nazionalità americana, da sempre votato a uno stile di matrice europea sulla falsariga del grande Alfred Hitchcock.

Fin dagli esordi De Palma infatti non ha mai nascosto la sua passione per il maestro inglese, trasformandosi a sua volta in una sorta di moderno alter ego più libero dalle pressioni della censura.

E Femme Fatale rivela ancora una volta il suo personalissimo e originale gusto per una struttura narrativa complessa e ingannevole retta da giochi metacinematografici e da una tecnica di ripresa rigorosamente geometrica (riecco lo split-screen), impreziosita dalla corposa fotografia di Thierry Arbogast, già collaboratore di Besson, Kusturica e Kassovitz.

Se poi l’affascinante protagonista Rebecca Romijn-Stamos (Laure Ash) riesce a sposare durante tutto il film, per ammissione dello stesso cineasta, l’allure aristocratica di Grace Kelly con l’esplosivo erotismo di Rita Hayworth, allora il personaggio che ne scaturisce pone in rilievo gli aspetti più torbidi della dark lady classica, diventando una pericolosa e sensuale donna che visse più di due volte.

Un po’ in ombra il bravo Banderas (Nicolas Bardo) fino a metà pellicola, ma è l’inevitabile destino del carattere che incarna l’ossessione del regista per il voyeurismo inteso come necessario presupposto del linguaggio cinematografico.

Da antologia l’attacco dell’opera, a base di sesso, violenza e consueti piani sequenza commentati dal Bolero di Ravel rivisitato da Sakamoto, nonché l’epilogo, dove tutte le tessere del mosaico vanno armoniosamente al loro posto.

Sax Marmotta