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Recensione

In Italia si chiamava Go Go Mach 5 e fu creata, quarant’anni or sono, dal mago nipponico Tatsuo Yoshida: insieme a Ken Falco e Grand Prix, era la serie di cartoni a sfondo automobilistico più conosciuta dalla generazione cresciuta a pane e anime.

Dopo qualche film da produttori, i fratelli Wachowski (quelli della trilogia di Matrix, per chi non lo ricordasse), attesi al varco, si ripresentano al pubblico con questo coloratissimo, frenetico adattamento di quel cartoon, osando molto nel montaggio e nell’allestimento delle scenografie e puntando su una recitazione sopra le righe, quasi straniata degli attori.

Così, a parte la curiosità per tali notazioni tecniche e per la spiccata tendenza a sperimentare, talvolta arditamente, nuove soluzioni visive (a scapito, per dirla tutta, della necessaria fluidità della durevole narrazione), sembra che a questo vivace divertissement manchi l’anima.

Indiscutibili i mezzi, di gran livello il cast principale (menzioniamo Emile Hirsch, reduce dallo splendido Into the Wild, e suo padre – ovviamente nella finzione – John Goodman, allontanatosi dai set cinematografici per qualche tempo e di nuovo in pista da Un’impresa da Dio) e interessante l’assegnazione dei ruoli minori (si incontrano i tedeschi Benno Fürmann e Moritz Bleibtreu, il giapponese Hiroyuki Sanada, il francese Melvil Poupaud), ma il vero problema è che questa vicenda di riscatto (il giovane Racer protagonista, rampollo di una scuderia di qualità, desidera far dimenticare l’ingloriosa morte del fratello maggiore e si distingue, nonostante tentazioni e scorrettezze altrui, nei circuiti più rischiosi e futuribili) non riesce mai a prendere davvero lo spettatore.

Come se il freno tirato per il dérapage avesse rovinato, oltre alle ruote, la pellicola.

Max Marmotta