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Trama

1893, India. A Champaner, piccolo villaggio, gli abitanti attendono con ansia l’arrivo delle piogge, necessarie per le loro coltivazioni.

Il pur comprensivo rajah da cui dipendono è costretto dal protettorato inglese, nella persona dell’infido capitano Andrew Russell, a raddoppiare il loro lagaan, ovvero la tassa sul raccolto.

Il popolo insorge, e il giovane e determinato Bhuvan si fa carico della protesta. Guidando un gruppo di rappresentanti, accetta l’arrogante proposta di Russell: battere lui e i suoi uomini in una partita di cricket; se i contadini vinceranno, l’imposta sarà annullata per ben tre anni, ma in caso contrario verrà addirittura triplicata.

Additato dai compaesani per la sua incoscienza, Bhuvan conta di sfruttare le somiglianze dello sport straniero con un gioco locale.

Per sua fortuna, durante il difficile reclutamento dei compagni di squadra, gli viene incontro Elizabeth, sorella di Russell, la quale gli insegna le regole da tenere in campo.

La disponibile aristocratica, molto attratta da Bhuvan, ignora i sentimenti che egli prova, ricambiato, per la dolce pari Gauri.

Recensione

Il sottotitolo, per una volta non troppo assurdo, lo lascia intendere: siamo di fronte ad una sontuosa (e integrale) favola in forma di kolossal, un prodotto perfettamente in linea con i dettami della famosa e prolifica Bollywood (l’Hollywood di Bombay), dalla quale, ahinoi, la censura di mercato non ci fa giungere niente.

La vivace e duratura pellicola ha tutto per piacere, pure per merito della pluralità di personaggi presenti nella squadra, ognuno “titolare” di una sfumatura diversa: il dramma (con l’invidioso Lakha), la commedia (appannaggio del buffo veggente Guran), i momenti musicali (con danze assai gradevoli dal punto di vista coreografico) e persino una dettagliata partita di cricket che si snoda nell’arco di tre giorni (che, sebbene non annoi per un istante, come il resto del film, forse poteva essere sintetizzata).

Uno stile narrativo che non ha nulla da invidiare a quello americano (anzi, un po’ lo sbeffeggia) e non è esente da piccole sorprese, nel quale il semplice affiatamento umano la fa da padrone.

In pratica, il prodotto-tipo in una nazione in cui il cinema è ancora un divertimento popolare (anche per il prezzo del biglietto).

Nel cast si distinguono l’incontenibile Khan (Bhuvan) e l’antipatico Blackthorne (Russell). La Lucky Red incappa in un solo, duplice difetto: l’assenza di sottotitoli durante le canzoni e la scelta approssimativa di doppiare alcuni dialoghi inglesi.

Max Marmotta