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Recensione

Al noto romanzo di Lew Wallace si sono ispirati spesso sia il cinema (oltre alla superba versione di William Wyler del 1959 andrebbe citata almeno quella muta di Fred Niblo del 1925) che la tv.

Dunque, sulla carta è particolarmente ardito il tentativo della Paramount di dare nuovo lustro alla storia.

La regia è affidata all’adrenalinico regista d’origine kazaka Bekmambetov, specializzato in spettacoloni senza troppa anima (Wanted, La leggenda del cacciatore di vampiri).

Diciamo subito che ne è venuta fuori, necessariamente, una sintesi (due ore abbondanti anziché le tre e mezza del kolossal biblico con Heston), la quale sfoggia almeno due scene che non deludono: l’affondamento della galea e, com’era prevedibile, la corsa delle bighe.

Il principe ebreo Judah Ben-Hur e l’ufficiale romano Messala Severus (i poco emozionanti Huston e Kebbell) stavolta sono addirittura cresciuti sotto lo stesso tetto in Giudea; diventati adulti, i loro disaccordi politico-religiosi li portano a scontrarsi, finché il primo non viene schiavizzato e allontanato, disperatamente ignaro delle sorti della sua famiglia.

Sullo sfondo, la diffidenza e la preoccupazione dei prepotenti governatori nei confronti delle prediche del falegname Gesù (il prestante Santoro), la cui figura è meno sfuggente rispetto a quella della trasposizione più famosa.

Posto che il pubblico giovane potrebbe accontentarsi, l’inessenziale operazione resta comunque un po’ fredda.

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Max Marmotta