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Trama

Tornata da una vacanza, durante la quale ha maturato la decisione di lasciare il fresco marito Charlie e ha conosciuto l’affascinante Joshua Peters, Regina Lambert trova il suo appartamento parigino sottosopra.

Apprende dal detective Dominique, incaricata delle indagini e seguita dal silente vice Dessalines, che il consorte è stato ucciso, che usava diversi nomi e passaporti e che era in possesso di una bella somma.

La povera Regina, messa in guardia dal funzionario dell’ambasciata americana Lewis Bartholomew, è avvicinata, a turno, da tre loschi figuri, Il-Sang, Lola e Emil, convinti che lei abbia il denaro.

Il misterioso Joshua la raggiunge e la protegge; ma anche lui non dice tutta la verità: infatti, si chiama Carson Dyle… .

Recensione

Passo falso per il valente Jonathan Demme (che dedica il film allo scomparso nipote cineasta Ted). Rifare un classico è già un rischio, ma sacrificare il raffinatissimo meccanismo, forse perduto per sempre, dello script originale di Sciarada (diretto da Stanley Donen), in grado di fondere come nessuno l’ingegnosa trama gialla allo humour sottile dell’epoca (era il 1963), per un confuso e dichiarato omaggio alla Nouvelle Vague (con tanto di “fantasmi” che hanno le fugaci fattezze di Noël, Karina, co-autrice delle musiche, la regista Varda e il cantante Aznavour, che fa se stesso per pochi secondi e sembra “scortare” il compagno di set di Ararat, Abkarian/Dessalines), è decisamente un errore.

Nulla da dire sull’abilità della messinscena (che mostra in flashback l’altrimenti invisibile Charlie, ovvero Dillane), sulle legittime aggiunte di azione per adeguarsi ai tempi o sulla professionalità di Robbins (che deve confrontarsi con il Walter Matthau della vecchia pellicola) e del direttore della fotografia Fujimoto (lo stesso de Il silenzio degli innocenti); ma la parte finale è stravolta, un pastiche di scoperte e avvenimenti che allontanano dal glorioso prototipo.

Allora, si comprende meglio la richiesta dello sceneggiatore Peter Stone di essere accreditato come Peter Joshua, ovvero la prima identità di Cary Grant (disonorato dal Joshua Peters –notata l’inversione?– dell’incolpevole Wahlberg) nella pellicola di 40 anni fa.

E già che ci siamo: come Julia Ormond non poteva sostituire l’inarrivabile Audrey Hepburn in Sabrina, analogamente la simpatica Newton, che qui non fa la traduttrice, esce con le ossa rotte dal confronto.

Che poi, quando un remake gode di un’adeguata autonomia che te ne fa dimenticare, non si dovrebbe neanche fare.

Cattivi i sottotitoli per i dialoghi in francese.

Max Marmotta