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Recensione

Ecco il film che (finalmente!) scinderà l’immagine di Jennifer Aniston, star comunque di riconosciuto talento, da quella di Rachel Green, suo alter ego nella popolarissima serie tv Friends.

E non perché si tratta di una splendida prova drammatica, intrisa peraltro di ruvido cinismo: chi ricorda il valido The Good Girl o il malinconico Friends with Money sa già di quali preziose sfumature sia capace l’attrice.

È più una questione di movenze, di un’acquisita maturità interpretativa che permette di abbandonare con sicurezza vezzi e carinerie per concentrarsi, in questo caso, sulla profonda sofferenza fisica e psicologica di un personaggio duramente provato.

Claire, questo il suo nome, reca sul volto e sul corpo martoriato da continue fitte (che le impongono di viaggiare sdraiata in auto, ma non è l’unico motivo) le vistose cicatrici di un terribile incidente che ha trascinato via una grossa parte della sua esistenza.

Un passato da brillante avvocato e una separazione di fatto le permettono di vivere in una bellissima casa a Los Angeles, accudita con pazienza, premura non richiesta e continui moniti da una domestica messicana, Silvana (un’Adriana Barraza di non meno impressionante bravura).

Il suicidio di Nina, partecipante a un gruppo di supporto al quale la protagonista presenzia senza alcuna convinzione, porta uno scossone, negativo o forse positivo.

Il regista Barnz, che con Beastly non aveva certo suscitato grandi entusiasmi, assegna ruoli secondari a volti noti tutt’altro che invadenti e calibra a dovere le emozioni.

Max Marmotta