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Recensione

C’era già un film di Apted del 2001, per niente riuscito, che cambiava i nomi ma prendeva il titolo dal codice tedesco da decifrare (Enigma), basato sul soggetto storico di questo lungometraggio diretto dal norvegese Tydlum secondo regole hollywoodiane e sceneggiato con disciplinata misura da Graham Moore a partire dal libro di Andrew Hodges.

La vicenda (a molti) è nota: per decriptare le azioni belliche dei nazisti, viene formato un team di geni che deve lavorare nella massima segretezza.

Fra di loro c’è Alan Turing, eccezionale matematico dal carattere scontroso e fragile, forgiato non solo dalla consapevolezza di possedere una mente superiore, ma anche dalle angherie subite, per invidia, durante l’adolescenza e per un orientamento omosessuale da tenere accuratamente nascosto (per le leggi inglesi, negli anni ’40 e oltre, era un crimine).

Subito lo scostante Alan diventa – non senza dissapori – il leader dei ricercatori, trova una via per risolvere le numerose incognite del compito assegnatogli (impresa percepita come un gigantesco gioco, viene ribadito) e lavora a un macchinario in grado di agire rapidamente.

Esso, una volta approntato, pone scelte terribili. Gli assi vincenti del film: una sapiente commistione di ricostruzione dei fatti e tribolazioni private (stratificate attraverso tre assi narrativi: epoca scolastica, guerra e 1951, quando un’effrazione accende i riflettori sul protagonista) e la partecipazione di magnifici caratteristi come Strong, Dance e Goode; Cumberbatch è bravo, ma meccanicamente.

Max Marmotta