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Trama

Francia, XVIII secolo. M.me de Pompadour e Henriette, figlia del re Luigi XV, vengono salvate da un assalto di briganti (pilotato dall’infido Corsini) dall’irruente Fanfan, dongiovanni e infallibile spadaccino arruolatosi da poco (è in corso la Guerra dei Sette Anni) per evitare un matrimonio riparatore con la contadina Lison.

Una volta raggiunto l’accampamento in Aquitania, il giovanotto, animato dalla predizione della sedicente zingara Adeline (che nel suo futuro ha visto nozze regali), si fa beffe del suo addestratore, lega con il buon Tranche-Montagne e riesce persino a distinguersi in battaglia.

Come se non bastasse, contribuisce a sventare un complotto degli Austriaci.

Recensione

Chissà se Vincent Perez avrebbe mai immaginato che dopo l’inedito (in Italia) Fanfan (1993, sentimentale con Sophie Marceau), gli sarebbe toccato in sorte di dar corpo e spirito ad uno degli eroi più amati del cinema di intrattenimento d’oltralpe, quel leggendario Fanfan la Tulipe reso celebre dal regista Christian-Jacque nel 1951 ed incarnato da Gérard Philipe.

Il cinema in cinquant’anni ha subito molti cambiamenti, sicché forse è un po’ vacuo istituire paragoni.

Krawczyk apporta alla pellicola le sue esperienze maturate nell’ambito della commedia d’azione (Taxxi 2, Wasabi), sotto la collaudata guida produttiva di Luc Besson, che si diverte ad inserire nella sceneggiatura simpatiche battute antistoriche (“Questa è la Guerra dei Sette Anni, ne sono già passati quattro, quindi il più è fatto”, “Ci vorrebbe una moneta unica”) allo scopo di demolire la già volutamente assurda plausibilità della pellicola.

Fra gli attori si segnala –più dello scatenato Perez, coinvolto in prima persona nelle spettacolari coreografie di duello, o della particolarmente bella Cruz, chiamata a prendere il posto della giovane Gina Lollobrigida della prima versione (veramente ce ne sarebbe pure una muta, del 1907) nel ruolo di Adeline– il comico Didier Bourdon, membro del gruppo Les Inconnus, godibilissimo nella parte del re che non distingue le truppe e, allegoricamente, non rammenta le cause del conflitto bellico.

Max Marmotta