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Trama

New Mexico, 1885. Maggie Gilkeson fa la guaritrice per mantenere le figlie Lily e Dot. A mandare avanti la sua piccola fattoria l’aiutano il lavorante sudamericano Emiliano e Brake, premuroso e paziente compagno della donna (che è vedova).

Un giorno si presenta Samuel Jones, un uomo bianco trasandato, che ha vissuto a lungo con gli Apache. Maggie non vorrebbe curarlo: quell’individuo è suo padre, fuggito senza spiegazioni quand’era piccola, causa indiretta della morte della madre; controvoglia, gli concede breve ospitalità.

Quando Lily è rapita dal “brujo” (stregone indiano esperto di magia nera) Pesh-Chidin e dalla sua banda per essere venduta, insieme ad altre sventurate, ad un bordello messicano, Maggie, per nulla aiutata dallo sceriffo Purdy, è costretta ad accettare l’aiuto del genitore, buon conoscitore dei sentieri dei nativi, in realtà riavvicinatosi alla famiglia per evitare le conseguenze di una superstizione.

Lungo la pericolosa caccia, Sam, Maggie e Dot s’imbattono nell’esercito, comandato dal disilluso tenente Ducharme, e nell’amico pellerossa Kayitah, seguito dal discendente Honesco.

Recensione

Costner ha riesumato le regole del western, altri autori statunitensi di spicco possono anche decidere di non seguirle.

Così Ron Howard: con un occhio a Sentieri selvaggi di Ford (che prende spunto anch’esso da un rapimento), il professionale regista contamina questo “obbligato” road movie di frontiera con elementi thrilling (e un finale eccezionalmente secco, particolare importante), imbastendo un’opera a tratti fedele all’epoca che rappresenta (vedi l’uso documentato del dialetto Chiricahua, o gli affettuosi riferimenti al telegrafo e alla rudimentale fotografia), tuttavia orientata a difendere l’odierna istituzione familiare, con il tema ricorrente (e coinvolgente) della scelta tormentosa, dagli esiti potenzialmente fatali (quale figlia scegliere? quale delle ragazze è Lily? ti porto con me?).

In omaggio al passato, ci sono gli indiani cattivi(ssimi), controbilanciati, per una più attuale correttezza politica, da quelli eroici e leali; ma non è per tale motivo che l’interessantissimo esperimento sembra riuscito soltanto a metà, e neppure per il vago senso di dispersione testimoniato di tanto in tanto dagli ottimi Blanchett e Jones (senza tralasciare lo strano cameo di Kilmer, nei panni –che gli calzano a pennello!– del tenente).

Manca qualcosa di indefinibile… .

Max Marmotta