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Recensione

Chad, nonostante le condizioni in cui è cresciuto, è un uomo intelligente.

Non sa leggere, ma vuole che il suo bambino, Tyson, avuto con la paziente Kelly, vada a scuola, nella prospettiva di una vita migliore di quella che è toccata a lui, membro di un gruppo di delinquenti (tra familiari e affiliati) che vivono in roulotte.

Il capo, nonché padre di Chad, è Colby, rozzo e fintamente religioso, orgoglioso di una progenie soggiogata che però, almeno in parte, sta per ribellarsi.

Al cinema si sono viste tante storie di clan delinquenziali e di redenzioni rese impossibili dalle avverse circostanze.

Rispetto alla media, il film dell’esordiente Smith ha un sapore più verista e un’evoluzione meno incline al mélo, ma non significa che vi si respiri aria di novità.

L’attivissimo Fassbender, nel ruolo del protagonista, asseconda la doppia natura del combattuto e a suo modo pragmatico personaggio, incarnazione della vulnerabilità arrecata dall’ignoranza, peraltro diabolicamente indotta dal genitore (è il sottotesto più importante del plot) che è già in grado di esercitare la sua pessima influenza sul nipotino.

Non è un’opera che  lascia il segno, ma la presenza allegorica del dispotico patriarca interpretato da Gleeson (che nel successivo Ghost in the Shell avrà nuovamente per figlio Michael) e del “jolly impazzito” Harris (nei laceri panni di un vagabondo schizzato adottato dalla comunità di furfanti) può giustificare la visione.

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Max Marmotta