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Recensione

Titolo blandamente convertito (timore che l’originale, con il nome proprio del protagonista belga di fede musulmana, dissuada lo spettatore avvertito?), il nuovo film dei premiati autori de Il figlio e Due giorni, una notte possiede l’usuale, cheta dirompenza del loro cinema.

Ahmed (Idir Ben Addi, aria fanciullesca e inoffensiva, broncio di proposito inespressivo) è un adolescente come tanti, da poco islamista convinto (a causa dei precetti inculcatigli da un imam fanatico), ora ostile verso una paziente maestra (per lui non degna in quanto donna) che osa impartire l’arabo al di fuori dei versetti del Corano.

L’azione violenta che l’indottrinato ragazzino (caso isolato, sottolineano gli eventi, all’interno della famiglia e della civile comunità) intraprende – teoricamente di sua iniziativa – gli causa la reclusione in un centro di rieducazione, dove, apparentemente rinsavito, conosce la quasi coetanea Louise (Victoria Bluck), figura pressoché simbolica che potrebbe scuoterlo.

Nella ricerca d’una svolta i Dardenne, che indugiano con rispetto su alcuni riti, non si affidano a rassicuranti conseguenze dell’amore (che anzi enfatizzano gli aspetti egoistici della religione), bensì a un’incombenza più grande, con un’arma (forse) salvifica.

La bugia (ricorrente) dell’incipit prelude a un percorso auto-preservante (e implicitamente auto-assolutorio) che è il vero nocciolo della questione: un culto da nascondere è sano? .

Max Marmotta